I cavalli domestici sono cavalli tenuti in cattività, nulla altro.

Evidenze scientifiche mostrano infatti che i geni dei cavalli domestici e degli omonimi selvatici sono identici. Ciò significa che il cavallo che vive nel cortile - o in una stalla del maneggio - ha lo stesso patrimonio genetico di quello che si è evoluto in natura o di quello che vive allo stato brado.

Se i cavalli sono stati "programmati" da madre natura per vivere in ampi spazi aperti, dove fuggono dai predatori, mangiano erba circa tutto il giorno, si spostano regolarmente camminando, hanno i piedi nudi, vivono in branchi per la sicurezza e lo svago, sono in grado di operare da soli le scelte alimentari, è palese che controvertire tutto questo per le esigenze umane può portare - nei casi di mancanza di sollecitudine per i bisogni compensativi dei cavalli - ad animali alienati.

Una tipologia comune di proprietario di cavalli è quello che non sa nulla del loro benessere e si appresta all'acquisto di un esemplare per praticare una disciplina, dopo che operatori - con scarso interesse per il destino del cavallo nel lungo periodo - lo spingono all'acquisto per maggiorare i propri profitti, o perché sono essi stessi commercianti di cavalli, o perché ci guadagnerebbero dalla stabulazione dell’animale presso la propria struttura.

Così i cavalli – nell’ipotesi peggiore – si ritrovano a vivere in box sotto dimensionati, con un'alimentazione stantia e polverosa, quando non ammuffita, i piedi ferrati, isolati dai propri simili e per muoversi solo comandati. Poi ci si stupisce se la colica è la prima causa di morte, se tanti cavalli sono mentalmente squilibrati, se diventano fisicamente e psicologicamente fragili.

Provi l'essere umano a vivere anni della sua vita in prigione, con l'ora d'aria di movimento comandato con fruste, speroni e ogni altro genere di contenimento forzoso, alimentato solo a granaglie secche che a lungo andare fanno inacidire la digestione, poi forse la coscienza si aprirà alla comprensione di quanto male l'essere umano possa fare agli altri, solo per perseguire idee di business lontane da ciò che madre natura comanda per il benessere delle specie e del pianeta.

Alla fine si scoprirebbe, o la persona sensibile almeno sarebbe in grado di farlo, che c'è un differenziale enorme tra l'ideale di gestione in benessere del cavallo e la pratica attuale in paesi come l’Italia, e come questo finisca per influenzare la struttura fisica, la digestione, il respiro, la salute dei piedi e della psiche, sostanzialmente tutto il discorso del benessere del cavallo.

Occorre però essere in grado di fare un distinguo per comprendere questo discorso. Da una parte la salute, ovvero l’assenza di una malattia diagnosticata; dall’altra il benessere, che contempla anche mente e spirito. Difficile che un veterinario diagnostichi una malattia mentale ad un cavallo, dovendone incolpare il proprietario o detentore, che è la persona che paga quel professionista per ipotizzare soluzioni o cure. Da lì la generale perdita di efficacia dei veterinari liberi professionisti come custodi non già della salute, ma del benessere del cavallo, e dell’etica di gestione, tematiche rapite dalle associazioni animaliste, le quali hanno meno conflitto di interessi a sindacare per il bene dei cavalli dei miglioramenti gestionali che in alcuni paesi del mondo sono già stati resi obbligatori (vedesi le aree di sgambamento, le stalle a vista e accorgimenti sui generis per migliorare la socialità dei cavalli confinati in scuderie).

Passiamo alla dieta del cavallo che può essere oggi molto sbagliata. Si somministrano zuccheri e melasse come se fossero alimenti idonei per i cavalli, quando sono veleni, specialmente con cavalli confinati in box.

I cavalli sono geneticamente programmati per mangiare erba fino a 18 ore al giorno.

La pancia del cavallo rilascia l'acido digestivo tutto il giorno, acido funzionale per la digestione di erba, non di zuccheri, pellettati, melasse, farinacei e altri alimenti complessi e disidratati.

Quando quell'erba non entra regolarmente nella pancia del cavallo, l'acido non ha nulla su cui lavorare, ma rimane nello stomaco. A differenza degli umani il cui acido digerente si accende e si spegne a seconda della presenza di cibo nell’apparato digerente, l'acido digestivo del cavallo non si ferma mai. Quindi l'ideale, se il cavallo non vive al pascolo, sarebbe la presenza di fieno costante da sbocconcellare a piacimento.

E poi c'è il discorso della vita sociale. I cavalli scuderizzati in stalle non attive, non possono entrare in comunione con altri cavalli e hanno un livello di stress più alto da sopportare. Lo scopo della mandria di erbivori è quello di massimizzare la sicurezza e dunque di minimizzare lo stress da pericolo. Il cavallo non è nato per vivere solo e isolato e non ci si trova bene di conseguenza.

Purtroppo, fino a poco tempo fa del benessere del cavallo non si parlava e solo persone con il desiderio quasi ossessivo di trovare il meglio per il proprio beniamino hanno cominciato a diffondere una cultura equestre alternativa, fatta di gestione naturale, stalle attive, alimentazione consona, mascalcia e veterinaria olistiche, doma etologica, discipline equestri nate per soddisfare il bisogno naturale del cavallo di leadership autorevole ma non autoritaria e di movimento in sintonia di binomio o branco a due.

Per fortuna, al giorno d’oggi le informazioni sono facilmente disponibili e si trovano anche gratuitamente su siti web specializzati. Dunque i proprietari sono messi di fronte alla possibilità di scegliere il compromesso giusto per sé e per il cavallo.

Sono le scelte che facciamo che ci definiscono.

C'è chi ama i cavalli e pensa in primo luogo al loro benessere e chi ama sottometterli e ridurli a oggetto di servizio. A ognuno il proprio percorso, con le conseguenze del caso.