Nella manovra di bilancio 2022 c'è lo stop ad allevamento ed uccisione di animali da pelliccia. Scatta il divieto di allevamento, riproduzione in cattività e uccisione di visoni, volpi, procioni, cincillà e animali di qualsiasi specie utilizzati per ricavarne pelliccia, come prevede un emendamento a prima firma della capogruppo di Leu al Senato Loredana De Petris, approvato dalla commissione Bilancio di Palazzo Madama.

La misura consente in deroga agli allevamenti di mantenere gli animali già presenti nelle strutture non oltre il 30 giugno 2022. Sono stanziati 3 milioni di euro per il 2022 per indennizzare gli allevamenti.

Alle aziende che ancora detengono il codice attività, indipendentemente dalla presenza o meno di animali, saranno riconosciuti un indennizzo per ogni animale presente alla data di entrata in vigore della legge, un contributo a fondo perduto corrispondente al 30% del fatturato registrato nell’ultimo ciclo produttivo, un contributo a fondo perduto, sino ad un massimo di 10.000 euro, per la copertura delle spese sostenute per la demolizione degli impianti o per la riconversione in attività agricola diversa.

Alle stesse aziende sarà riconosciuta una corsia preferenziale nell’assegnazione dei fondi del PNRR per lo sviluppo agrivoltaico e la creazione di parchi agrisolari. Il decreto interministeriale regolerà anche l’eventuale cessione degli animali, con obbligo di sterilizzazione (i visoni sono specie alloctone, di origine americana) e nel rispetto delle procedure indicate dal Ministro della Salute per la prevenzione della diffusione di zoonosi, a strutture autorizzate, preferibilmente quelle gestite da associazioni di protezione animale riconosciute.

Questa è una grande vittoria ecofemminista, giacché se le donne sono state indubbiamente meno colpevoli degli uomini nell'abuso e uccisione attiva degli animali (come osserva Virginia Woolf nelle Tre Ghinee: “Una gran maggioranza degli uccelli, e degli animali sono stati uccisi da te; non da noi”), sono state tuttavia complici di questo abuso, nell’utilizzo diffuso di prodotti di lusso, come le pellicce, che comportano la sofferenza degli animali e la loro morte anche per motivi futili, qual è quello della moda.

Charlotte Perkins Gilman, femminista e sostenitrice del benessere animale, criticò questa ipocrisia già negli anni 30, nel suo A Study in Ethics (1933). Condannando la moda femminile di indossare “come ornamento la carcassa di un animale”, Gilman evidenzia una sconvolgente incongruenza, il fatto che “donne civilizzate e cristiane, sensibili alla crudeltà, affezionate ai loro animali domestici, sostengano sistematicamente la più grande crudeltà esistente nei confronti di milioni di indifese piccole creature [...]. Le pellicce si ottengono mediante l’uso delle trappole. Questo significa ogni agonia possibile dell’animale, cattività, inedia, sofferenza per fame e gelo, paura terribile e dolore. Se una donna legasse ed appendesse centinaia di gattini, ognuno per una zampa, nel suo cortile di casa durante la stagione invernale, lasciandoli lottare e agitarsi nel freddo, miagolando acutamente per l’angoscia e il terrore, e con le pellicce così realizzate potesse ‘adornare’ qualcosa [...], sarebbe considerata un mostro”.

Oggi la battaglia contro l'uccisione superflua di animali per vestirsene è vinta, ma tante altre attendono le ecofemministe, chiamate a considerare gli animali come esseri senzienti, titolati di diritti, prima di tutti, quello ad una vita dignitosa.