Secondo la dottrina cristiana l’anima è ciò che forma e informa il corpo ed è sede di tutte le facoltà spirituali come volontà, intelligenza, memoria, sensibilità.


Saturno era provvisto in massimo grado di tutte queste facoltà ma, secondo l’opinione della maggior parte dei teologi cattolici, non poteva comunque avere un’anima, tanto meno una immortale, per il semplice motivo che era il cavallo di Romano L., il carrettiere che una volta al mese passava per conto della F.R.O., (Fabbriche Riunite Ossigeno), a consegnare le bombole di acetilene che servivano per la saldobrasatura dei metalli, processo necessario ad assemblare i telai delle biciclette che uscivano dalla nostra officina.

Questa importante azienda chimica produceva ogni tipo di gas per uso industriale e medico ma non ne gestiva direttamente la distribuzione, dandola in concessione a dei trasportatori autonomi i quali, fino agli anni cinquanta, per la bisogna si servivano di carri trainati da cavalli.

Dopo la guerra, la sempre maggiore richiesta di materiali gassosi da parte delle imprese e l’industrializzazione a macchia d’olio dell’intero territorio provinciale, avevano costretto i distributori ad abbandonare progressivamente il trasporto con trazione animale per dotarsi di moderni motocarri e camion.

Ma Romano no, lui era rimasto fedele al tradizionale carretto e aveva continuato a usarlo fino a quando si era ritirato dall’attività.

D’altronde, il giro di consegne abbastanza limitato che gli era stato assegnato, una decina di officine meccaniche e qualche farmacia, tutte nel raggio di pochi chilometri dalla fabbrica di produzione, gli permetteva di lavorare ancora senza problemi con l’amato cavallo.

Romano viveva da sempre in simbiosi con questo animale.

A sedici anni aiutava già il padre nel trasporto di sabbia e mattoni per i cantieri edili, poi aveva prestato servizio militare in cavalleria, prendendo parte anche alla campagna di Russia. Durante la ritirata, questo era uno dei grandi dispiaceri della sua vita, l’avevano costretto ad abbattere la sua cavalcatura per sfamare i compagni.

Quando l’avevo conosciuto negli anni sessanta, Romano aveva ormai una certa età e girava con Saturno, quello che sarebbe stato il suo ultimo compagno di lavoro, un magnifico cavallo sauro da tiro di taglia media, balzano da quattro, cioè con delle macchie di pelo bianco sopra gli zoccoli.

Non penso fosse di razza pura ma era una bestia vigorosa, dalle linee molto eleganti. Tra i due esisteva un rapporto speciale, paritario, diverso da quello affettivo un po' sdolcinato che si crea a volte tra padrone e animale, dove il primo assume il ruolo del padre, o della madre, e il secondo quello del figlio eternamente bambino.

Si può dire che la loro fosse una vera e propria amicizia, simile a quelle che talvolta nascono sui banchi di scuola, nei cantieri di lavoro o in guerra, amicizie virili fatte di scherzi e bevute ma anche di confidenza, rispetto e solidarietà.

Romano non usava mai la frusta con Saturno, credo non l’avesse nemmeno, e non toccava quasi le briglie, in compenso parlava molto al cavallo, gli diceva quando fermarsi, quando partire, dove svoltare.

Ma avrebbe potuto anche farne a meno, l’animale conosceva infatti il giro dei clienti a menadito e quando qualche volta il padrone si assopiva a cassetta, gestiva lui stesso la consegna, portando in maniera autonoma il carro a destinazione rispettando diligentemente semafori e precedenze.

Tutte le mattine verso le dieci, Romano fermava il carro davanti alla solita osteria per concedersi un panino e un quartino di bianco; prima però dissetava Saturno facendolo bere da un secchio che riempiva alla fontana e gli appendeva al collo il sacco con uno spuntino composto di avena e pezzi di carruba.

Capitava a volte che Romano trovasse qualche amico e allora la sosta di metà mattina tendeva a dilatarsi, i bicchieri iniziavano ad accumularsi pericolosamente sul bancone del bar e le voci, sovrapponendosi, salivano sempre più di tono.


Saturno pazientava per un po’, dimostrando una certa indulgenza verso le debolezze del padrone.

Poi, quando la cosa andava troppo per le lunghe, cominciava a battere nervosamente lo zoccolo sul selciato e ad emettere dei brevi nitriti indispettiti fino a che Romano, capita l’antifona, salutava velocemente i compari e risaliva sul carro brontolando qualche scusa.

Quando il carrettiere aveva finalmente raggiunto l’età per la pensione, Saturno era ancora un animale molto forte e idoneo al lavoro. Ma, a un agricoltore del contado che si era fatto avanti per acquistarlo, Romano aveva risposto sgarbatamente, cacciandolo in malo modo, quasi il poveretto gli avesse fatto una proposta indecente.

Il cavallo aveva potuto così restare nella comoda stalla dove era vissuto in quegli anni, era l’ultima rimasta nella nostra zona, annessa all’officina di un maniscalco - un certo Antonio V. - e aveva come compagno un asino abbandonato dai proprietari, che il fabbro aveva generosamente deciso di tenere e sfamare.

Saturno però non aveva mai legato tanto con l’umile cugino trattandolo anzi con aristocratica alterigia.

I cavalli da lavoro, così come i muli e i somari, erano ormai pressoché scomparsi anche nelle campagne e Antonio, ma tutti lo chiamavano Toni Caval, ferrava quasi esclusivamente purosangue da corsa per conto di alcune scuderie milanesi, compresa quella di Mike Bongiorno, cosa questa che l’aveva reso una celebrità dalle nostre parti.

Certe mattine una macchina di grossa cilindrata guidata da un autista in divisa si fermava davanti alla sua officina, lui vi saliva un po’ impacciato portando con sé il grembiulone di cuoio e la cassetta della mascalcia, l’auto ripartiva diretta verso l’ippodromo di San Siro e lo riaccompagnava a casa in tarda serata.

Toni era una persona semplice, di origine contadina e una volta che lo avevano portato a mangiare nel lussuoso ristorante annesso al galoppatoio frequentato dai ricchi allevatori, aveva ingenuamente chiesto il suo piatto preferito, una tipica pietanza veronese, lo stracotto di cavallo con la polenta, provocando l’indignata reazione dei presenti che lo avevano fatto allontanare dal locale.

La stalla di Toni era a due passi dall’abitazione di Romano, il quale vi si recava tutte le mattine di buon ora, rifaceva la lettiera con della paglia fresca, riempiva di fieno la greppia, d’estate lavava il cavallo con la pompa dell’acqua, lo strigliava e lo faceva camminare nell’ampio cortile raccontandogli a bassa voce le ultime novità. Saturno lo ascoltava attentamente muovendo gli orecchi ed emettendo di tanto in tanto dei borbottii di approvazione.

Dopo qualche anno Romano era rimasto vedovo e, si sa come vanno queste cose, le nuore avevano convinto i mariti che sarebbe stato meglio, per il suo bene intendiamoci, affidarlo a una casa di riposo. Lui, che era una persona ragionevole e di buon carattere, aveva capito la situazione e accettato, prima però aveva preteso che i figli lo portassero a cercare una sistemazione dignitosa per Saturno.

Avevano battuto così in auto, per più di un mese, la campagna a sud di Verona, per trovare il luogo e, soprattutto, le persone giuste.

- No, no stalla troppo piccola. –
- Ma hai visto questo che faccia da tagliagole? Tempo una settimana e il cavallo è già in pentola.-
- Qua andrebbe bene ma è troppo lontano, come faccio ad arrivarci?-

Finalmente, quando i figli erano ormai vicini all’esaurimento nervoso, aveva trovato il posto giusto, una stalla tranquilla con qualche vacca, un recinto all’aperto molto grande, alberi, contadini che sembravano brave persone.
Avevano pattuito rapidamente il prezzo per vitto e alloggio, si erano stretti la mano, ci avevano bevuto su un paio di vermouth, e il giorno dopo Saturno era già nella sua nuova casa.

Romano attendeva con ansia il giovedì quando, di buon mattino, poteva uscire dal portone dell’ospizio nel centro storico di Verona e salire sulla filovia numero quattro che lo avrebbe portato in venti minuti nel nostro quartiere dove, dopo aver salutato qualche amico, prendeva la corriera per Mantova fino al paese, distante una quindicina di chilometri, nelle vicinanze del quale si trovava la fattoria che ospitava il cavallo.

E ogni giovedì alle prime luci dell’alba, Saturno trottava fino alla rete di recinzione e rimaneva poi immobile, con gli occhi fissi sul viottolo, dal quale sapeva sarebbe spuntato da un momento all’altro il padrone.

L’animale era di solito molto tranquillo, ma non appena scorgeva Romano che lo salutava da lontano con la mano, e gli mostrava la borsa con le carote e le mele, delle quali entrambi erano golosi, incominciava a scalpitare e a nitrire dalla gioia. I due restavano insieme quasi tutto il giorno, camminavano lentamente per i campi, mangiavano qualcosa, si litigavano scherzosamente le ultime mele.

Poi, nel tardo pomeriggio, Romano riprendeva la corriera per Verona.

Prima di salire sulla filovia si fermava un po’ in officina a scambiare quattro chiacchiere e a raccontarci le ultime novità su Saturno.

Tutto questo era andato avanti per alcuni anni, ma quando quel giovedì pomeriggio Romano era arrivato in negozio molto più tardi del solito, con gli occhi rossi, avevamo capito subito cos'era successo.

- È morto ieri sera, hanno chiamato il veterinario ma non c'è stato niente da fare, c'era un figlio di puttana, non so chi fosse, che voleva comprare la carcassa per le ossa e la pelle, se non me lo cavavano dalle mani lo rovinavo quel figlio di troia. Poi gli ho fatto scavare una buca con il trattore e sono rimasto là finché non l'hanno sotterrato, ma la settimana prossima ci torno per vedere che non abbiano fatto scherzi. –

Romano non era ritornato laggiù e non era più passato nemmeno in quartiere. Poi, dopo quasi un anno, se n’era andato anche lui.

I cristiani credono che dopo la morte esista un paradiso dove chi è vissuto in grazia di Dio potrà restare per sempre con le persone che ha amato in vita. Sarei molto sorpreso se questa faccenda fosse vera ma, dovesse esistere davvero questo luogo, Saturno non ci sarebbe potuto entrare perché, secondo i soliti teologi, non possedeva un'anima immortale.


Non so se Romano B. fosse vissuto in grazia di Dio o se fosse credente, penso di no, ma sono sicuro che, se lo fosse stato, avrebbe preferito restare fuori da questo posto dove non lasciavano entrare il suo cavallo.

In nome di Romano e Saturno, scritto per Horse Angels da Alfredo Nicoletti, di Verona.