Innanzitutto, i cavalli nati liberi, si definiscono selvatici o selvaggi? Sembra una domanda banale, ma ne discendono conseguenze per la tutela dei cavalli nati liberi o che abbiano acquisito lungamente abitudine alla libertà.
Quando la fauna rientra nei "selvatici", nella maggior parte dei paesi occidentali, gode di particolari tutele che non hanno invece gli animali esotici, non indigeni, non nativi o semplicemente reinselvatichiti che possono danneggiare l'ecosistema e dove le politiche possono tendere all'eradicazione sostanziale, piuttosto che al contenimento anche con metodi brutali del numero.
Il fatto che i cavalli siano stati un tempo domestici potrebbe importare poco dal punto di vista biologico. Questo è particolarmente osservabile nel fenomeno definito reinselvatichimento, dove cavalli abbandonati in spazi liberi ritornano ad antichi modelli comportamentali. Il riemergere dei comportamenti primitivi, simili a quelle delle zebre di pianura, indica la superficialità dell'addomesticamento nei cavalli. La questione della feralizzazione e l'uso della parola "selvatico" sarebbero costrutti umani, che hanno poco significato biologico tranne nel comportamento transitorio cui spesso sono costretti gli animali, in qualche modo, per sopravvivere in un mondo dove quelli che non sono fonte di reddito per gli umani, finiscono per essere classificati come in esubero e in quanto tali sacrificabili per la carne.
Un esempio sotto gli occhi di tutti di questa radice selvaggia permanente nei cavalli è dato dall' Equus Przewalski (il cavallo selvaggio della Mongolia), scomparso un centinaio di anni fa e sopravvissuto da allora negli zoo. Il contenimento a scopo conservativo in uno zoo non è domesticazione nel senso classico, ma potrebbe essere definita cattività, con custodi che forniscono cibo e veterinari che forniscono assistenza sanitaria. Tali equidi sono stati rilasciati nell’area di pascolo originaria nel corso del 1990 e ora ripopolano la loro terra nativa in Mongolia. Sono una specie autoctona reintrodotta o no? E qual è la differenza tra loro e il cavallo comune, fatta eccezione per il periodo di tempo e il grado di cattività acquisito?
Un cavallo potrà sempre tornare alle sue radici se liberato sano con suoi simili su un terreno sufficientemente vasto da consentire la vita “naturale” della specie.
Le varie denominazioni cui sono soggetti i branchi di cavalli bradi tradiscono esclusivamente la volontà dei gestori del suolo pubblico di mantenere vivo il conflitto tra i cavalli (selvatici) - senza valore economico - e il valore economico del bestiame commerciale, a favore di quest'ultimo che può essere sfruttato a impiego umano per diversi fini, non da ultimo l’alimentare.
La sfida, allora, per la tutela dei selvatici, è farne apprezzare il valore da altri punti di vista e indicare un percorso di valori condivisi per il quale questi animali, baluardi di libertà, possano essere percepiti come socialmente utili e il loro numero tenuto sotto controllo attraverso metodologie il più possibile non invasive, meno aggressive e sostenibili, che li risparmino dalla cattura per abbattimento, per impiego sportivo intensivo o per la commercializzazione a carne.
IL CASO DEI CAVALLI REINSELVATICHITI DELL'UNIVERSITA' di AGRARIA DI ALLUMIERE
Seguiamo questo fascicolo di cavalli "abbandonati" che il Sindaco di Santa Marinella ha più volte definito di responsabilità dell'ente allevatoriale e agricolo che ha in comodato il terreno demaniale per usi civici, sin da luglio scorso, e abbiamo, oltre che aperto un fascicolo in procura relativamente alla loro posizione di cavalli non censiti, e non identificati, proposto di fare un'oasi a loro dedicata, per toglierli dal circuito della carne quale ultima risorsa per riportarli a reddito.
Ci sarebbero altri modi per riqualificarli, per progetti sociali e di turismo verde, da cui la comunità trarrebbe più vantaggio rispetto alla loro conversione in carne.
Speriamo che a lungo andare la nostra idea prevalga.
Qui di seguito parte del servizio fotografico che la fotoreporter Cinzia Canneri ha realizzato per noi a Prato Cipolloso, Comune di Santa Marinella (RM) e in altri terreni del comprensorio dell'Università Agraria di Allumiere.