Un mio amico dice spesso: “se hai dubbi, non avere dubbi".

Abbiamo il privilegio di “gestire" una creatura straordinaria come il Cavallo e non possiamo permettere che sorga il minimo dubbio sulla questione della piena tutela del suo benessere.

La questione etica è pesante ed oggi viene moltiplicata, come da una lente di ingrandimento, dalla percezione della cosiddetta “opinione pubblica".

Non possiamo permettere certe pratiche, non possiamo permettere che sorga il minimo dubbio che nel settore si compiano certi gesti.

Tre sono, a mio avviso, le diverse letture del problema:

ASPETTO TECNICO

Le corse dei cavalli, trotto e galoppo, in tutto il mondo nascono e si affermano per mettere in atto il cosiddetto “miglioramento della razza", attraverso la “selezione". Il risultato in pista deve essere scevro dal minimo dubbio che il vincitore sia stato in qualsiasi modo “aiutato" da fattori esterni che falsino i valori effettivi. L'allevamento non deve essere inquinato da valori fasulli, significherebbe mettere in razza un falso campione. Guai!

ASPETTO ECONOMICO

Il settore deve presentarsi in maniera impeccabile. Non possiamo permettere che questo giocattolo così complesso, così affascinante, venga messo in ombra da comportamenti che non siano ineccepibili.

Nessun proprietario vorrà investire in un settore che offre di sé una immagine negativa, nessun genitore accompagnerà il figlio in un ippodromo se non si avrà la certezza che tutto il possibile sia stato fatto per mantenere in maniera impeccabile il cavallo, nessun giocatore si appassionerà ad un gioco in cui il risultato venga falsato da pratiche illegali, nessun politico sosterrà un settore che non sia virtuoso ecc...

ASPETTO ETICO

Il più importante. Se nella nostra coscienza non vi sarà la certezza che il rapporto tra uomo e cavallo sia improntato sul massimo rispetto non riusciremo a trasmettere la nostra passione ai nostri figli e a mantenere vivo questo mondo.

Con quale coscienza ci interfacceremo con la società? Abbiamo diritto di poter dire a chiunque che ci occupiamo di ippica. Ne abbiamo il diritto, ma spesso siamo costretti ad un sentimento che rasenta la vergogna e dobbiamo finalmente affrontare le ragioni che ci hanno portato a questo.

Il problema riguarda il mondo intero. La questione è: quanto abbiamo già distrutto e quanto abbiamo ancora in mano? Quanto è consistente la nostra credibilità e quanto sta crescendo nella gente “il dubbio” che i nostri cavalli subiscano pratiche illecite?

In questi anni abbiamo visto movimenti di protesta contro le corse in paesi con una cultura ippica molto più consistente della nostra. Il rischio è alto. Ogni dubbio va eliminato. E bisogna anche sperare che in nessuna parte del mondo emergano casi gravi, ne pagheremmo un prezzo carissimo.

La sensazione, se vogliamo entrare nel caso specifico italiano, è che il sistema di controllo, che è dotato di un budget molto consistente e di un laboratorio di primissimo ordine, debba essere più aperto, elastico e agile, che la struttura ministeriale, per ovvie ragioni, sia troppo formale e rigida, ma soprattutto che manchi completamente, e non solo per questo ambito, tutto l'aspetto della comunicazione. Insomma qualcuno deve metterci la faccia e parlare, talvolta facendo la voce grossa, talvolta difendendo il settore. Certamente mettendo costantemente pressione e facendo anche investigazione e controlli a sorpresa nei centri di allenamento.

Bisogna invece evitare inutili condanne per cavilli burocratici ed essere molto duri contro pratiche proibite esercitate in maniera strutturale.

Il rispetto del cavallo si deve manifestare anche attraverso le strutture. Il problema delle piste italiane è diventato raccapricciante! Abbiamo ippodromi impuniti con piste che interrompono la carriera ai cavalli destinati a corse importanti.

Il rispetto del cavallo passa anche attraverso le modalità di gestione. Assistiamo a pomeriggi di corse con temperature insostenibili in assenza di interventi tempestivi di chi li organizza. I cavalli sono costretti a viaggi lunghissimi e costosi per correre in piazze dove non esistono né pubblico né gioco sul campo e non si capisce perché ci si debba correre.

E poi, tenendo sempre come ispirazione la mentalità nord europea, dove il cavallo rappresenta, prima di ogni altra cosa, un essere da amare, come un figlio, serve lavorare sulla mentalità e fare formazione. Certe pratiche credo siano praticamente inutili. Forse sarebbe l'ora, come avviene per ogni professione, di iniziare con un costruttivo dialogo e con un serio percorso di FORMAZIONE che coinvolga artieri, allenatori, driver e, perché no, allevatori.

Lavorare sulle coscienze e sulla professionalità, restituire dignità a chi lavora, forse potrebbe essere la vera chiave per raggiungere la consapevolezza che il rispetto nei confronti del cavallo sarà il nostro miglior investimento.

Enrico Tuci, Imprenditori Ippici