Nel 2018 sono stati 48 i cavalli morti per incidenti di pista all'Ippodromo di Santa Anita, in California. Nel 2019, i decessi presso il medesimo ippodromo sono stati 43 per gli infortuni su pista. Nel 2020, con "la pausa Covid" che ha determinato la chiusura della pista per molti mesi, ad oggi sono 16.
Alcuni cavalli si sono "rotti" con conseguente eutanasia durante l'allenamento. Altri sono morti pubblicamente durante una gara.
Questi incidenti hanno confermato ciò che la gente delle corse di cavalli già sapeva da sempre: nell'ippica i cavalli muoiono frequentemente.
Ma quando la storia dei cavalli morti per incidenti di pista al Santa Anita ha iniziato a fare il giro del mondo, e persino il New York Times e la TV via cavo hanno dato visibilità alla moria di cavalli in ippodromo, i manifestanti animalisti hanno iniziato a presentarsi presso l'impianto, chiedendo che fosse chiuso. Anche i politici improvvisamente si sono accorti che c'era un problema di consenso pubblico, e presto l'ufficio del procuratore distrettuale della contea di Los Angeles ha iniziato un'indagine. All'improvviso le corse di cavalli sono state sotto esame giudiziario per "maltrattamento" e per la prima volta al mondo è nata pubblicamente, con dibattito su media nazionali, la domanda: l'ippica ha ancora senso che esista?
Accanto a questa domanda se ne aggiunge un'altra, cosa si potrebbe guadagnare se questo sport scomparisse per sempre? E cosa invece andrebbe perso? Una valutazione seria e razionale deve infatti mettere sul piatto della bilancia entrambe le opzioni.
Il dibattito sarebbe quanto meno auspicabile anche in Italia, dove l'ippica è allo sbando. Il coordinamento ippodromi preannuncia uno sciopero davanti al Mipaaf per l'8 di settembre prossimo venturo e successiva sospensione dei convegni se gli ippodromi non saranno "pagati" per la gestione di un servizio che non si ripaga da solo, perché pesa completamente, come tutta l'ippica, sul bilancio statale, mentre di anno in anno gli incassi diminuiscono, come il numero di persone affezionate all'ippica. Il tutto nelle more di una riforma più volte annunciata e mai fatta, probabilmente per la paura di una compagine pronunciata dell'ippica stessa al cambiamento. E' più facile attaccarsi a una zattera, anche se è alla deriva, che staccarsi da essa e tentare di raggiungere la riva a nuoto con le proprie sole forze.
Intanto, a livello internazionale, cresce salda l'opposizione del fronte animalista
La moria dei cavalli in ippodromi non pare più occasionale, bensì endemica. Semplicemente, i decessi in passato non erano divulgati e attenzionati altrettanto dai media e dalle associazioni animaliste.
I decessi al Santa Anita, analizzando le varie annualità e il confronto con altri ippodromi della stessa California, non sono stati nulla di straordinario, ma la cruda realtà del mondo delle corse.
L'evidenza statistica
Secondo il rapporto annuale di CHRB, questo il numero di decessi nei 4 ippodromi Californiani nell'annata 2017-18:
- 41 decessi all'Ippodromo di Los Alamitos
- 30 decessi al Golden Gate Fields
- 12 decessi al Del Mar
- 41 decessi al Santa Anita
Le stesse quattro piste, per l'annata 1994-95, sempre secondo il rapporto annuale di CHRB, riportavano questo numero di decessi:
- 38 decessi al Los Alamitos
- 23 decessi al Golden Gate Fields
- 19 decessi al Del Mar
- 45 decessi al Santa Anita
Gli infortuni mortali
CHRB classifica le morti per cavalli in tre modi: corsa, allenamento o "altro". I decessi per corse e allenamenti sono correlati agli infortuni subiti in pista. La categoria "altro" si riferisce a decessi non correlati all'esercizio fisico (CHRB cita come esempio le malattie gastrointestinali, le malattie respiratorie e le malattie neurologiche).
Secondo i dati del 2018 del California Animal Health and Food Safety Laboratory System e dell'Università della California, la Davis School of Veterinary Medicine, che conduce esami post mortem su alcuni dei cavalli da corsa deceduti dello stato, l'81% delle morti tra gli animali esaminati nell'anno precedente erano correlate a ingiurie fatali da corsa o da allenamento. Molte di queste lesioni non erano di per sé fatali, ma hanno determinato l'eutanasia perché il cavallo non era più recuperabile per l'agonismo e quindi "indesiderato" per i proprietari.
L'ATTENZIONE MEDIATICA
Nel 2019 dunque, l'ippodromo di Santa Anita ha registrato un numero standard di cavalli morti per gli infortuni in pista. L'unica cosa straordinaria è stato l'eco mediatico di tali morti.
Le principali testate, Los Angeles Times, il New York Times, la CNN e altri hanno riferito sui cavalli morti in pista e dato spazio di visibilità alla protesta animalista.
Non uno di meno!
Ben presto associazioni animaliste di altri paesi occidentali hanno preso coraggio e alzato la voce per i loro cavalli morti in pista e la sensibilizzazione del pubblico alla crudeltà insita nell'ippica così come è organizzata, almeno.
Per il sentimento pubblico dei paesi occidentali, tollerare i cavalli morti in pista sta diventando di anno in anno più difficoltoso. Ciò che lasciava indifferenti 50 anni fa, oggi solleva dubbi e perplessità sull'etica e sostenibilità dell'ippica dal punto di vista della tutela animale (per l'Italia c'è in ballo anche la sostenibilità economica, visto che l'ippica si regge interamente su denaro pubblico).
E' il punto di non ritorno in cui gli attivisti per i diritti dei cavalli speravano da tempo!