E' di questi giorni la presentazione dei dati di crescita degli sport equestri, come emerso dalla presentazione della ricerca ‘Il Cavallo vincente’, realizzata dalla Luiss Businnes School e la FISE, Federazione italiana sport equestri, la quale ha analizzato l’impatto dell’equitazione sull’economia italiana. In particolare si evidenzia come le ricadute sul Prodotto interno lordo varino dai 2,3 ai 3 miliardi di euro, con un impatto significativo anche sull’occupazione, grazie all’incremento dei 170.000 tesserati FISE (+53% rispetto al 2020).
L’impatto dello sport equestre crea un indotto a catena lunga e molto differenziato, giacché l'equitazione, rispetto ad altri sport, ha bisogno di molti prodotti e servizi di accompagnamento. “L’influenza sull’economia italiana risulta molto più ampia di quanto si potrebbe pensare – afferma Matteo Giuliano Caroli (Associate Dean for Internationalization della Luiss Businnes School e autore della ricerca insieme al professor Alessandro Serra) – Oltre all’indotto diretto e indiretto, infatti, andrebbero valorizzati gli effetti socio-culturali, educativi e di benessere”. Bisogna tener conto, inoltre, di “tutta la filiera che ruota attorno al cavallo, dai mezzi di trasporto, ai finimenti, le sellerie, gli abbigliamenti degli atleti e i prodotti veterinari”, sottolinea il segretario generale del FISE Simone Perillo.
La sfida del cavallo ha battuto la pandemia da Covid. Gli sport equestri hanno viaggiato in controtendenza, grazie alla possibilità di un contatto fisico ridotto e l’utilizzo di spazi aperti. Lo studio mostra numeri di crescita significativa, e la sfida, economicamente parlando, è mantenerli con l'offerta sportiva che torna a tutto tondo con la riapertura delle attività chiuse precedentemente.
Roberta Ravello, Horse Angels: "A parte questo, va sottolineato come nessun passo avanti sia stato fatto per la sostenibilità della crescita sportiva equestre per la tutela della vita del cavallo. Una crescita spontanea, dal basso, scarsamente consapevole del ruolo del cavallo nello sport, non promuove un possesso fino a morte naturale dello stesso, ma solo altro "usa gettismo" in una società in cui il cavallo è sempre più percepito come animale d'affezione.
Mancano gli investimenti strutturali e istituzionali per la salvaguardia della vita del cavallo al termine del suo rendimento come cavallo impiegabile in equitazione.
Fino a che le istituzioni non interverranno su questo punto critico, la crescita economica del settore equestre potrebbe non corrispondere ad una crescita etica dello stesso, perché non dobbiamo dimenticare che una parte della filiera vive di compravendita di questi animali, inviando regolarmente al macello, oramai più che altro illegalmente, visto che i cavalli iscritti al CONI devono essere registrati come non macellabili, gli "scarti" della produttività equestre: esseri viventi, senzienti, nobili, che non meriterebbero di essere trattati come strumenti sportivi.
Non sempre negli sport equestri il più è sinonimo di maggiore qualità.
Più utenti, non significa affatto più proprietari amorevoli e responsabili nei confronti dei cavalli. La cultura equestre non è un bene che si acquisisce in pochi mesi e come dimostra la cronaca, alle volte neppure in una vita di impegno equestre.
La crescita che noi vogliamo non è solo quantitativa, ma anche qualitativa, soprattutto dal punto di vista del possesso responsabile: quello che si cura anche del destino ultimo del cavallo per preservarlo dall'abominio della macellazione".