Troppe punizioni corporali ai cavalli che non vincono, per soddisfare la rabbia di giovani atleti che non avrebbero neppure la dignità e maturità per concorrere. Lo sport dovrebbe educare, non insegnare la violenza. Se si fallisce in questo, significa che il sistema è sbagliato e va cambiato.

L'accanimento agonistico, anzi tempo sulla maturità dell'atleta umano, è dannoso e porta frequentementea voler vincere a tutti i costi, anche a dispetto delle regole. La buona educazione non viene insegnata e neppure la disciplina, in contesti in cui il guadagno facile è l'unico obiettivo. Per ogni giovane che va in concorso, anche se non è pronto e non lo merita, sono soldi facili per gli organizzatori e gli operatori dedicati. Per questo si chiude, troppo spesso, un occhio sulle irregolarità. Quando lo sfogo di rabbia non è episodico, ma abituale, e non corretto, viene a meno la parte raziocinante e riflessiva, lasciando spazio solo a reazioni ormonali e istintive. In questo caso, a fine giornata quello che si è ottenuto è abuso di cavalli.

Scene di sfogo sui cavalli si vedono negli allenamenti, nei maneggi e negli ippodromi, nei concorsi e nelle gare. Quando vincere è l'unica cosa che conta, lo spettacolo diventa brutale.

  • Per quanto tempo ancora le istituzioni che organizzano gare, corse e concorsi se ne laveranno le mani dei tanti abusi sui cavalli ad opera di persone giovani, ma anche meno giovani, che li trattano come oggetti scaricando loro addosso le frustrazioni personali?
  • E ancora, a che età è lecito spingere i giovani nell'agonismo, con cavalli che neppure sono in grado di gestire benignamente, se non sottoponendoli a tutta una serie di orpelli di contenimento e reprimende, perché manca conoscenza, saggezza, esperienza?

Negli ultimi venti anni l'aspetto agonistico è diventato sempre più importante in tutte le discipline e proposto sempre più precocemente, finendo per coinvolgere anche bambini. La responsabilità di questo fenomeno è da attribuire sia alle società sportive, i cui proventi e sovvenzioni sono condizionati dal successo dei loro atleti, sia alle famiglie, che hanno sempre maggiori aspettative di successo e fama per i loro figli.

Non si tiene abbastanza conto che il successo nello sport dipende da un insieme di fattori misti, su molti dei quali il soggetto non ha controllo: fattori genetici, psicologici, ambientali, familiari, sociali ed economici che andrebbero valutati per congruità prima di spingere un giovane nel circuito dell'agonismo.

Proponendo l'agonismo a tutti, come se fosse per tutti, e non lo è, si rischia di mettere in atto dei modelli non raggiungibili che espongono i giovani a delusione, umiliazione, insicurezza, ansia e rabbia, che talvolta vengono somatizzati, altre volte possono diventare un veicolo di rabbia che si abbatte sui cavalli, creando vittime di abuso e bullismo tra animali che non hanno scelto di fare agonismo, ma ci sono stati costretti.

Non solo, la spinta ad un agonismo precoce crea una percentuale alta di abbandoni, poiché priva lo sport della componente ludica e lo segna da esperienze negative (eccessiva pressione del trainer o aspettative della famiglia, bullismo, incidenti, abusi, etc.). Questo tipo di esperienze traumatiche, protratte nel tempo, può creare danni irreversibili, ai giovani umani come ai cavalli.

L'agonismo fa male se è concepito come pressione che non educa. Lo sport deve educare ai valori del rispetto dell'altro e ad accettare la sconfitta, senza punire i cavalli per questo.

I giovani in età evolutiva (6-18 anni) non hanno la capacità di dare alla sconfitta o alla vittoria il giusto peso, rischiano di identificarsi con il risulato. La perdita può coincidere con problemi di autostima; la vittoria può portare a sopravvalutare le proprie capacità e possibilità, generando illusioni. A quel punto di fronte alla sconfitta, diventa più facile non assumersi le proprie responsabilità e attribuire le colpe agli altri, incluso il cavallo, che si trova magari ad essere punito per colpe non sue. Il cavallo non è una macchina, anche lui può avere le sue giornate sì e no, può avere motivazioni fisiche e psicologiche che alterano la prestazione, non facilmente leggibili da giovani in età evolutiva che ancora devono imparare a comprendere se stessi, figuriamoci l'altro. 

Ma l'agonismo sa essere spietato, perché senza la mediazione dell'etica può comportare la ricerca della vittoria a tutti i costi. In un ambiente dove la deontologia professionale non è curata, un eccessivo carico agonistico e di allenamento, la mancanza di sufficienti rinforzi positivi, di una filosofia morale consolatoria ed educativa, può portare a disturbi psicologici, vanificando le promesse benefiche del fare dello sport all'aria aperta con animali come i cavalli.

Oggi c'è una grande preoccupazione sul discorso del doping, per cavalli e per atleti, vista la facile diffusione di droghe in certi ambienti, ma poi poco viene fatto per sanarli dal punto di vista etico e morale, con trainers che sono spesso commercianti di cavalli e poco più e di certo non possono essere quelle figure di riferimento educative di cui i giovani avrebbero bisogno perché lo sport sia espressione di ricerca di benessere e salute, interiore ed esteriore.

Ci auguriamo che per il futuro ci sia più selezione, sia nei trainers abilitati con i giovani in età evolutiva, che nel numero di giovani avviati all'agonismo.

L'agonismo non è per tutti. L'equitazione vissuta in modo ludico sicuramente per più.