Si chiama Marco Cavallo il cavallo stilizzato di legno e cartapesta costruito nel centro diurno Epass di Grottaglie (Taranto) ed è stato l'ospite d'onore di 'Cavalcando il possibile', una manifestazione organizzata dal centro medesimo, in associazione con altre associazioni sensibili al tema e i migranti presenti nel territorio, in occasione dei 40 anni della legge Basaglia.
Alcun bambini disabili lo hanno accolto e scortato prima di poter introdurre nella sua pancia dei bigliettini con i loro pensieri e desideri.
Il tutto in onore del primo Marco Cavallo della storia, che ha avuto poi parecchi cloni, realizzato dagli ospiti del manicomio di Trieste per ricordare un cavallo, vero, in carne ed ossa, che trasportava la biancheria e i rifiuti dell'ospedale psichiatrico, e che è diventato nel tempo il simbolo della lotta per liberare i malati di mente dalla reclusione e ridare loro dignità.
Tutta la storia di Marco Cavallo, sin dalle origini
L'originale, alto 4 mt
Il primo Marco Cavallo, scultura di legno e cartapesta a forma di cavallo azzurro, fu realizzato nel 1973 all'interno del manicomio di Trieste da un'idea di Giuseppe Dell'Acqua, Dino e Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia. È considerata un'opera collettiva realizzata con il contributo dei laboratori artistici creati all'interno della struttura nosocomiale da Franco Basaglia, allora direttore dell'Ospedale Psichiatrico e si avvalse del contributo ideale e immaginifico dei pazienti allora reclusi. Alto circa 4 metri e di colore azzurro, come deciso dagli stessi pazienti, lo si volle di così grandi dimensioni, per poter idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all'esterno un simbolo visibile e rappresentativo dell'umanità allora "nascosta" e "misconosciuta" all'interno dei manicomi.
Divenne pertanto "icona" della lotta etica, sociale, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, la cosiddetta Legge Basaglia del 1978 , nonché simbolo per gli stessi pazienti delle loro istanze di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità di persone, fino ad allora negate. Da allora è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale. In Italia è stato esibito anche all' "EXPO 2015"per puntare l'attenzione sulle condizioni degli Ospedali psichiatrici giudiziari.
Nel giugno del 1972, i ricoverati dell'ospedale psichiatrico di Trieste inviarono una lettera al Presidente della provincia di Trieste Michele Zanetti con un appello per la sorte del cavallo "Marco", un cavallo reale che dal 1959 era adibito al traino del carretto della lavanderia, dei rifiuti e del trasporto di materiale vario nel manicomio. Il testo, scritto in prima persona come fosse redatto dal cavallo, ne chiedeva in luogo della prevista macellazione, il dignitoso "pensionamento" all'interno della struttura, per "meriti" lavorativi e per l'affetto che sia il personale che i pazienti nutrivano verso l'animale. In cambio si offriva il versamento di una somma pari al ricavato della vendita dell'animale per la macellazione, e il mantenimento a proprie spese per tutta la restante vita naturale. Il 30 ottobre dello stesso anno la Provincia di Trieste accolse la richiesta, stanziando l'acquisto di un motocarro in sostituzione del cavallo, che veniva appunto ceduto e affidato alle cure dei pazienti residenti nel manicomio.
Questa prima favorevole accoglienza delle autorità di una richiesta diretta da parte di ricoverati di un manicomio, allora privati dei diritti civili, venne vista come una apertura e un'occasione verso un possibile riconoscimento della loro dignità personale. L'artista Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra Franco ideò il progetto della realizzazione di un cavallo di legno e cartapesta di dimensioni monumentali che prendesse spunto da questo fatto di cronaca reale e potesse diventare il simbolo della fine dell'isolamento dei malati mentali, un "cavallo di Troia" che potesse invece essere contenitore delle istanze di libertà e umanità dei malati mentali]
La realizzazione fu affidata ai laboratori artistici già presenti all'interno dell'Ospedale psichiatrico. I pazienti non si occuparono direttamente della costruzione, ma vennero coinvolti nell'opera di realizzazione dei contenuti artistici e immaginifici da inserire nell'opera. I pazienti dunque decisero il colore azzurro, simbolo della gioia di vivere e decisero che la "pancia" del cavallo dovesse contenere i loro desideri, sogni e istanze.
Un grosso problema sorse in occasione della prima esibizione nel marzo 1973. Costruito all'interno della struttura, non si era tenuto conto delle dimensioni monumentali dell'opera e nessuna delle porte dell'ospedale era sufficientemente grande da permetterne l'uscita. La difficoltà oltre che logistica, causò la profonda frustrazione dei pazienti, dato l'evidente e immediato paragone con il loro stato di di reclusione forzata, dovuta alle allora vigenti leggi ospedaliere in merito ai malati mentali. L'impasse venne risolta lanciando il cavallo contro una delle porte, causando la rottura delle vetrate e di un architrave, ma permettendo l'uscita dell'installazione e la rottura anche del muro reale e simbolico fra il "dentro" e il "fuori".