Innanzitutto, chi è Bruno Giongo?

Uomo di cavalli, istruttore, artiere, addestratore, sussurratore, Bruno Giongo è nato in Oristano il 13 aprile 1963 e ha lavorato tutta la vita con i cavalli, sviluppando attitudine a, citato dal suo stesso sito, rapporti interpersonali; attività con i bambini; attività con i diversamente abili; attività di recupero dal disagio sociale; visione olistica della vita. Molto noto in Sardegna, dove i sussurratori fino a poco tempo fa scarseggiavano, dall'Italia però se ne è andato, anzi è scappato, per una vicenda che lui stesso ci racconterà.

Quando se te ne sei andato e perché?

A ottobre 2015 ho deciso di lasciare l’Italia a malincuore quando ho avuto la certezza che in Italia il “sapere di cavalli” è diventato uno svantaggio invece che una risorsa. Cosa intendo dire!!? Mi è stato sempre insegnato che la vetta dell’equitazione si trovava sotto una montagna di letame, questo non solo per confermare che bisogna lavorare parecchio ma, soprattutto, per dare la giusta importanza a chi, tutti i giorni, si occupa dell’animale cavallo. Da ragazzino spesso sentivo mio padre, e non solo lui, chiedere il parere su qualche cavallo proprio al vecchio stalliere che se ne occupava quotidianamente. Ricordo benissimo come venivano trattati con rispetto i capi scuderia e con quanto garbo gli si dava indicazioni per determinati compiti. Mio padre stesso, quando mi presentava a queste figure, mi raccomandava di seguirne i consigli perché loro “sapevano” di cavalli. Questo per spiegare ai lettori quanto io consideri fondamentale il “Sapere di Cavalli”.

Per diversi anni ho dedicato la mia formazione equestre al conoscere e al ricercare questo “sapere”, convinto che un giorno mi avrebbe agevolato e permesso di vivere serenamente la mia passione, quella dell’animale cavallo. Ebbene, ciò che mi affascina di più è l'animale, non l'equitazione. Non vengo da famiglia ricca, l’unico modo per me di vivere questa passione è stato quello di lavorare con i cavalli e, di conseguenza, di montare e insegnare a farlo ma a modo mio, e ciò significa nel rispetto totale della natura del cavallo.

Per tornare al perché ho lasciato l’Italia, dopo essermi dedicato alla mia formazione, non solo tecnica ma soprattutto culturale, acquisendo varie qualifiche e riconoscimenti, mi sono sentito pronto per rientrare in Sardegna, dopo quasi 10 anni che avevo passato in continente per acquisire esperienze. Al mio rientro in Sardegna, venivo considerato un sussurratore; molti mi proponevano cavalli pericolosi, da trattare, non perché credevano che fossi capace di risolvere il problema ma, solo, perché pregustavano di vedermi fallire e di compiacersi del mio fallimento. Altri, invece, non solo erano convinti che esistessero metodi alternativi all' attività addestrativa tradizionale, ma credevano fortemente nella necessità della massima diffusione di questi approcci etologici.

I primi anni, parlo dal 2006, la diffusione dei metodi dolci aveva preso campo soprattutto tra gli appassionati amatoriali, ma non negli addetti ai lavori. Piano piano, anche i professionisti sono stati costretti a prendere atto delle nuove tendenze progressiste nella gestione dei cavalli e della necessità di fare qualche adeguamento per rimanere sul mercato. Le cose, anche se solo abbozzate, indicavano che la strada era imboccata, ma l'ostacolo era in realtà dietro l'angolo e molto alto da superare. Quando il benessere del cavallo ha iniziato a essere portato all’attenzione del grande pubblico, esso ha cominciato a esigere dei cambiamenti veri, non solo chiacchierati da cui il blocco successivo all'avanzamento: il benessere del cavallo secondo i nuovi canoni etologici comporta ben altro impegno che quello puramente verbale. Va a colpire direttemente il portafoglio con la necessità di riadeguare in primo luogo i luoghi di lavoro e contenimento dei cavalli. E pochi lì erano pronti.

In questo periodo, oltre ad occuparmi di cavalli con esigenze particolari di rieducazione, seguivo vari avviamenti di centri equestri, sia sportivi sia di equiturismo, dove mi ritrovavo dopo qualche tempo a dover rinunciare all’incarico perché, nonostante gli ottimi risultati dei primi mesi, incoraggianti anche a livello economico, invece di migliorare la qualità di vita degli animali in carico, i gestori cercavano irrimediabilmente un ulteriore guadagno “risparmiando” proprio sul benessere degli animali.

Mi ero fatto l’idea che tutte queste realtà tristi potessero dipendere dall'incapapacità gestionale dei titolari, convinti che, dopo le spese di avviamento, la barca potesse galleggiare da sola. Ma poi compresi che la cosa è ancora più complessa e attiene all'eterno conflitto tra etica e profitto. I più percepiscono l'etica sul lavoro come una perdita potenziale di profitto e a farne le spese sono generalmente i cavalli, mentre io stavo sulla sponda opposta, chiedevo di essere messo in condizione di migliorare la qualità di vita dei cavalli con cui avrei operato, giustificando inoltre che, da questo miglioramento, ci sarebbe stato anche un vantaggio economico: praticamente un cavallo che sta bene, lavora bene, ha bisogno di meno trattamenti veterinari e vive in salute più a lungo e questo secondo me deve essere l'obiettivo principale per chi ama i cavalli e vuole lavorare con loro. 

Mi sono ritrovato in realtà dove il benessere dei cavalli, la tutela della loro vita, era apparentemente l'ultimo dei problemi, essendo il primo il risparmio. Dei cavalli furono vittime di quello che, per la mia sensibilità personale, è maltrattamento e, nonostante le mie segnalazioni e quelle di altri, supportate da associazioni animaliste, non si riuscì a fare giustizia perché il mondo del cavallo italiano, specialmente in posti piccoli, provinciali, dell'entroterra e con poche risorse economiche, è fatto di omertà, coperture e insabbiamenti, tanto più quando ci sono di mezzo soldi, amicizie, clientele, inciuci, posti di lavoro. La delusione è stata tremenda e il seguito catastrofico. Vista l’impossibilità, non solo di lavorare tenendo veramente conto del benessere animale, ma anche di lavorare e basta, per via delle ritorsioni sopraggiunte alla presa di posizione in difesa dei cavalli, in un sistema che protegge i forti anche quando sono in torto o violano le norme, mi sono convinto che l’unico modo per vivere la mia passione serenamente fosse quello d'andarmene all'estero.

L’Australia è stata una scelta quasi obbligata, in quanto familiare sia a me che agli altri membri del mio nucleo di affetti. Andando in Autralia, mi aspettavo inoltre un mondo più moderno e progressista sul concetto di benessere animale. Da un certo punto di vista, mi sono ricreduto sulla "sensibilità" generale degli australiani al benessere animale. Dall'altro, ho appurato che gli australiani sono un popolo pragmatico, che vede in standard minimi di benessere animale un volano economico e sociale. L'ippica qua è un datore di lavoro importante che occupa centinaia di migliaia di persone e in questo settore sono entrato e vi ho potuto apprezzare il vigore e il rigore di tutta una serie di norme e regolamentazioni improntate sulla sicurezza sul lavoro che danno ampio spazio al benessere animale. 

Qua dove vivo ora, le autorità puniscono seriamente i trasgressori che, a qualsiasi titolo, compiono atti di maltrattamento o sevizie sugli animali, non sicuramente per una coscienza animalista, ma per una questione economica. Ecco un caso. Se un fantino frusta un cavallo da terra, potrebbe essere segnalato da chiunque alla commissione che si occupa della sicurezza sul lavoro, che avvierà un'inchiesta perché quel modo di fare, se costante, è considerato un potenziale pericolo per i lavoratori che sono nelle vicinanze, in quanto vista la natura dei cavalli, anche qualche altro cavallo si potrebbe agitare e creare un danno verso le cose e le persone nel suo raggio d’azione. Se poi emerge anche un maltrattamento, questo sarà un'aggravante che aumenterà automaticamente l’eventuale sanzione inflitta. Potrebbe suonare un pò strano, visto dall’aspetto sentimentale ma, dopo l’esperienza in Italia che mi ha costretto a partire, anche per l'atteggiamento insabbiatore delle istituzioni preposte al benessere animale e alla legalità negli sport equestri, devo ammettere che non mi interessa tanto quali siano le motivazioni per cui si prende in considerazione seriamente la tutela, punto solo a che si faccia, le persone prenderanno coscienza in seguito di quanto sia opportuno anche dal punto di vista dell'etica.

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In Italia, purtroppo, ci si affida ancora alla sensibilità dei singoli con leggi che sarebbero sufficienti a obbligare tutti al benessere animale ma sono inapplicabili, perché nessuno è veramente interessato a farle rispettare, neppure le istituzioni che dovrebbero fare da garante. Anche se potrebbe essere un ottimo spunto per creare un nuovo volano economico, il benessere degli animali da noi è solo considerato una spesa e in più sicuramente in rimessa, altrimenti non si spiegherebbe la differenza di trattamento che c’è, in moltissimi centri equestri in italia, tra i cavalli dei privati e quelli in dotazione del circolo stesso. I primi vengono tenuti a seconda dei soldi che paga il proprietario e i secondi, tanto non sono di pregio, hanno il minimo indispensabile per campare. Tutto questo succede sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno sottolinei queste differenze e la loro iniquità.

Per tornare a bomba, sulla domanda iniziale del perché ho lasciato l’Italia, dopo questa lunga premessa, modifico la domanda. Perché l’Italia mi ha cacciato? Mi ha costretto a cercare nuovi lidi a causa del mio essere eternamente riconoscente ai cavalli, non solo come essere umano, visto che è tramite loro che abbiamo avuto uno sviluppo tecnologico, almeno in quelle popolazioni che l’hanno conosciuto nei propri albori ma, anche, a livello personale. Il cavallo mi ha accompagnato per tutta la vita, essendo per me un compagno di giochi, un confidente, un complice, un maestro di vita, un valido sostegno che mi ha risollevato in un momento di profondo sconforto in una tragedia familiare.

Brevemente, le tue idee, progetti e magari qualche consiglio o augurio per chi hai lasciato alle spalle

-La mia riconoscenza per i cavalli mi impedisce di stare zitto quando mi accorgo di situazioni di abuso. In tanti lamentano insofferenza per il maltrattamento dei cavalli ma, a differenza dei più, io non solo non sto zitto quando mi trovo di fronte a una situazione ingiusta, cerco anche di dimostrare con i fatti che, impostando diversamente le cose, si possono annullare le cause del maltrattamento e con ulteriori vantaggi, inclusi quelli economici. 

- In Italia, per fare carriera, raggiungendo posizioni importanti, molti hanno sfoggiato discorsi sul benessere animale che poi non volevano o potevano mettere in pratica. Altri, pur di arrivare, si sono prostituiti, scaricando le proprie frustrazioni sui cavalli e su tutti quelli che gli ricordavano la sconfitta equestre. 

- In Italia persone come me sono trattate, se non dileggiate, "come gli alternativi", questo per isolarli, renderli impopolari, impedire loro di lavorare e di fare proseliti al benessere animale vero, non solo parlato per vantarsi nel salotto equestre del perbenismo. Altrove, come in Australia, finalmente non sono un alternativo, bensì un valido professionista che ha a cuore i cavalli, dunque la mia sensibilità è vista come una virtù, non come un difetto per "l'economia della scuderia". 

- Chi dall'Italia, seppure vive delle difficoltà nel mondo dei cavalli, non se ne può andare, se vuole invertire la rotta deve investire nella cultura equestre vera, con il benessere reso concreto, nella relazione con i cavalli e anche tra umani nell'ambiente di lavoro, altrimenti non c'è speranza di uscire dalla crisi. Tutto questo richiede coraggio, non viltà.

- Credo che in Italia esistano due tipi di istruttori, quelli che sono stati allievi di istruttori militari e quelli che sono stati allievi di istruttori civili. I primi, oltre alla parte pratica, hanno appreso, grazie ai racconti dei loro istruttori, un bagaglio culturale che li ha agevolati nella conduzione delle loro attività e che li ha resi uomini di cavalli a tutto tondo. Riescono a trasmettere il loro sapere agli allievi, formando generalmente dei cavalieri più consapevoli. I secondi, invece, dai racconti dei loro istruttori hanno appreso solo quanto costa questo o quello, e cosa usare per ottenere una prestazione migliore, perdendo di vista la base dell’equitazione e trovando scappatoie che poi si ripercuotono sul benessere del cavallo. Dunque, trasmettono ai propri allievi solo il valore economico del fare equitazione, un approccio che aborro. 

In chiusura di questa lunga chiaccherata, mi preme lanciare un messaggio anche ai maltrattatori di cavalli, inclusi quelli con conoscenze politiche, grazie alle quali eventualmente riescono a farla franca, fino ad appropriarsi di beni e risorse pubblici per interessi privati, che mi sono lasciato alle spalle. Ruscirete a rallentare l’evoluzione dell’equitazione ma non riuscirete a fermarla. I vari bruno giongo, coloro che sono convinti che si può cambiare, continueranno a lavorare per questo cambiamento e, prima o poi, salterà fuori qualcuno che, con una semplicità terrificante, ispirandosi a Federico Caprilli, vi metterà di fronte alla realtà facendovi precipitare dal vostro altare di carta per cazzottare malamente, senza cavallo, nell’oblio che meritate.

Nel mentre, io continuo nella mia missione d'imparare a fare cavallo e a trasmettere quanto apprendo ai miei amici di cavalli. Serbo la velata speranza che, un domani, anche i miei allievi continueranno ad assumersi l’incarico di divulgare la cultura equestre con l’intento di migliorare la qualità di vita di tutti i cavalli, inclusi quelli che vivono in Italia.