Una storia di macellai e commercianti di carni equine della Puglia. Il film Gitanistan entra nelle case di un gruppo di famiglie rom cavallare italiane.
Il consumo di carne equina in Puglia (e per esteso in Italia) è il punto di unione tra due culture, quella dei contadini e quella dei rom.
La carne di cavallo, nel Salento, si accompagna a una tradizione popolare di musica e danza, chiamata “pizzica scherma”, una danza salentina che al pari della Notte della taranta attira ogni anno folle di turisti.
È il frutto di una storia secolare: gli antenati di questi rom italiani, che vivono nelle case delle province di Lecce e di Brindisi, arrivarono da Napoli, dove avevano ricevuto da famiglie nobili (De Rinaldis, Bevilacqua) dei lasciapassare per potersi muovere liberamente sul territorio. Una volta fuori dai confini campani, questi fogli divennero i loro documenti d’identità, assumendo così i cognomi dei nobili partenopei.
In Salento individuarono le necessità dei contadini: diventarono prima allevatori di cavalli per lavorare la terra; poi, quando la Rivoluzione industriale cambiò l’agricoltura, macellai e commercianti di carne di cavallo.
Un’attività ancora più florida della precedente, che ha cambiato radicalmente anche le abitudini culinarie pugliesi.
Il film è nato dalla volontà di Claudio Giagnotti, in arte “Cavallo”, di raccontare la storia di queste famiglie salentine. Claudio è un produttore musicale; il suo gruppo musicale Mascarimirì è uno dei più conosciuti nel panorama della musica folkloristica pugliese, ma pochi sanno che Mascarimirì è una parola rom per dire “Oh Madonna mia”.
Claudio è nipote di Oronzo, macellaio e figlio di Giuseppe Rinaldi, a sua volta detto “Seppu lu Zingaru” , che aveva combattuto con l’esercito italiano nella guerra per conquistare l’Eritrea. Negli anni Ottanta Oronzo gestiva attraverso la ditta di famiglia gran parte del commercio di cavalli in Puglia, sdoganando e vendendo - cioè macellando - più di 200 cavalli a settimana.
Oggi sua figlia Luciana, 24 anni, studia Giurisprudenza all’Università di Lecce e dice: «Ognuno vive in modo diverso questa appartenenza. Anche all’interno della stessa famiglia: io parlo la nostra lingua e non ho mai nascosto di essere rom, invece mio fratello preferisce non farlo sapere a scuola e con gli amici per paura di essere considerato diverso».
Insomma, Gitanistan non parla di emarginati, ma di persone oggi integrate nel Salento, spiegano i due registi Pierluigi De Donno e Claudio “Cavallo” Giagnotti: «Quando si parla di rom ci sono principalmente due posizioni. Alcuni consegnerebbero al Popolo Rom il premio Nobel per la pace, altri li cancellerebbero dalla faccia della terra. Non c’è verità in nessuna delle due. Gitanistan mostra come sia possibile trovare il giusto equilibrio con il “teorema del buon senso”: alle comunità contadine salentine serviva qualcuno che sapesse curare e allevare i cavalli, i rom lo sapevano fare».