La civiltà paleoveneta, secondo Omero, Tito Livio e Virgilio ed accreditata da studi moderni, si sarebbe prodotta dalla fusione di abitanti indigeni della preistorica cultura Villanoviana Padana con gruppi di Eneti (o Enetoi o Heneti o Evetoy secondo Omero) provenienti dalla Paflagonia (Asia Minore - Turchia) tra i secoli XV e XII a.C.
I centri più importanti furono Padova e, soprattutto, Este il centro dominante da cui dipendevano numerosi villaggi sparsi lungo le innumerevoli vie d'acqua. Attività principale per la quale erano famosi fu l'allevamento dei cavalli, oltre all'agricoltura e a forme artigianali di sussistenza.
La cultura dei Veneti antichi, ancora viva e vegeta dopo millenni di contaminazioni, nasce da un amalgama tra tribù preistoriche, civiltà Euganea, migrazioni e apporti dal medio oriente, influenze ed insediamenti tribali da popoli germanici e celti (quelle che poi saranno le invasioni 'barbariche' di epoca romano-imperiale), intreccio con Greci ed Etruschi dalla cui cultura deriva la scrittura veneta. All'incirca tra i secoli VI-III a.C. s'intensificarono i contatti con la vicina civiltà Etrusca, molto evoluta, dalla quale i Veneti trassero i caratteri alfabetici. Quindi l'influenza militare e culturale romana, dal I secolo a.C., che finì per integrarsi con l'originalità Veneta e farne allora la regione più ricca ed abitata dell'impero.
Le attività tipiche dei paleoveneti
L’agricoltura era alla base della loro economia: coltivavano grano, ma anche cereali per i pascoli. Molti di loro si dedicavano all’allevamento: bovini, caprini ed ovini. Ma soprattutto i veneti erano famosi in tutto il Mediterraneo per la loro fama di allevatori di cavalli, che venivano richiesti anche dalle altre popolazioni.
Alcuni preferivano specializzarsi nella lavorazione dei metalli. Nel Vicentino (Montebello, Santorso) avevano delle vere e proprie case laboratorio con focolari particolari per la fusione e la forgiatura.
Dalla fine del VII sec. hanno iniziato la produzione di oggetti in bronzo sbalzati e figurati come le lamine e le situle, ossia vasi in bronzo a forma di secchio.
Le donne si dedicavano alle attività domestiche, come la tessitura e la filatura. Il telaio era lo strumento utilizzato dalle donne per tessere: presso i Veneti era diffuso quello più semplice, quello verticale. Fili verticali venivano fissati alla parte superiore del telaio e venivano tenuti in tensione da pesi (pesi da telaio, in terracotta) e costituivano l’ordito. Con una spoletta, un arnese in osso o in legno, piatto o rotondo, si dividevano i fili dell’ordito facendo passare quelli orizzontali della trama.
I paleoveneti e i loro cavalli
Presso i Veneti antichi la centralità del cavallo è un dato certo, ribadito dalle fonti letterarie, dai manufatti e dalle immagini relative ai cavalli. Molti scrittori illustri, greci e latini, quali Omero, Alcmane, Esiodo, Pindaro, Plinio, Strabone associano il popolo dei Veneti alla fama dei cavalli da corsa che allevavano, usati nelle corse delle principali competizioni sportive del mondo greco. Sappiamo che nel 440 a.C. Leonte di Sparta vinse la 85ma Olimpiade proprio con dei cavalli veneti; così pure il geografo Strabone racconta che il tiranno di Siracusa, Dionigi il Vecchio, per il suo allevamento di cavalli da corsa volle i famosi puledri veneti.
I cavalli veneti erano quindi merce pregiata da commerciare con altri popoli e fonte di ricchezza competitiva nel quadro degli scambi commerciali antichi. Certamente i Veneti erano agevolati nell'allevamento equino, grazie alle ampie estensioni di pianura che ben si adattano a questo scopo.
I riti religiosi con i cavalli
Un aspetto importante di collegamento tra antichi veneti e cavalli si ritrova nellesepolture equine in diverse località della regione (Adria, Altino, Este, Padova), e viene descritto da Strabone quando racconta che i Veneti sacrificavano un cavallo bianco a Diomede, eroe divino, domatore di cavalli.
Nel Veneto antico, la consuetudine di sacrificare, probabilmente tramite soffocamento o annegamento, e seppellire i cavalli all'interno delle necropoli sembra correlarsi a cerimonie destinate a defunti di particolare importanza sociale. Anche nei santuari era offerto alle divinità il sacrificio di cavalli, sia utilizzando animali in carne e ossa, sia attraverso statuette votive o immagini su lamine. Venivano sacrificati generalmente i maschi - probabilmente perché le femmine erano preziose per la riproduzione - di età diverse ma di una razza selezionata per la corsa, caratterizzata dalla taglia piccola e slanciata.
Le fiere di cavalli
I Veneti essendo allevatori e commercianti di cavalli hanno sempre avuto le loro fiere locali. Fieracavalli ha le sue radici nel 1898, quando per deliberazione della Civica Amministrazione veronese, nascono le Fiere semestrali di cavalli moderne, in cui si espongono, oltre a molti cavalli, le merci ed i prodotti che interessano principalmente il mondo rurale.
Nelle foto:
- Cavallino in bronzo dei veneti antichi (V-IV sec. a.C.) conservato al museo Archeologico “Eno Bellis” di Oderzo (foto G. Benedetti)
- Lo scheletro del cavallo della tomba 49 Oderzo dalla necropoli dell’Opera Pia Moro esposto al museo Archeologico di Oderzo (foto C. Bugna)