Poco sappiamo sui cavalieri antichi. Loro usi e costumi. E ancora meno su quelli che appartenevano a minoranze discriminate. Qualcosa di più possiamo venire a sapere attraverso le loro sepolture.

Sebbene i barbari nella storia siano un argomento di interesse perenne, la maggior parte degli studi ha affrontato un piccolo numero di gruppi per i quali è possibile costruire narrazioni continue, come i Franchi, i Goti e gli Anglosassoni. Di altre etnia si sa molto meno. Nella lotta alle discriminazioni, è molto importante proporre una rilettura della storia, vista non già dal "centro" dei privilegiati, ma dalla "periferia" dei gruppi etnici trascurati e dimenticati.

Tra storia e leggenda, i Sarmati, un popolo misterioso a cavallo

Dei Sarmati durante l’antichità sappiamo ben poco: questi popoli non hanno debuttato sulla scena della storia antica come protagonisti, ma hanno recitato, nelle fonti classiche, un ruolo marginale. I capi sarmati si facevano sepellire vicino a fonti d'acqua, dunque poche tombe sono rimaste, la maggior parte sono state erose.

I Sarmati sono di stirpe iranica, appartenenti quindi all’ancestrale popolo degli indoeuropei, che ebbero la primigenia sede in Asia. Successivamente i Sarmati, come altri popoli affini, mossero tra il V ed il IV secolo a.C. verso le piane della bassa Russia, spingendosi nell'Europa dell'est.

Dell’esistenza dei Sarmati abbiamo attestazioni già in Erodoto, che nel quarto libro delle Storie riferisce dei Sauromati, abitanti della sponda orientale del fiume Tanais, odierno Don, che ha rappresentato, per i greci dell’antichità, un argine naturale rispetto a questi scomodi vicini.

La genesi di questo misterioso popolo, secondo Erodoto, avrebbe origine in seguito all’unione di un gruppo di giovani efebi Sciti con quello che rimaneva dell'esilio delle Amazzoni, che successivamente alla guerra di Troia, nella quale avevano parteggiato per i Troiani, sbarcarono nella palude Meotica, l’odierno mar d’Azov. Dopo aver fuso le due componenti etniche, il nuovo popolo si stabilì aldilà del Don, dove al tempo di Erodoto ancora risiedeva. L’androginia tipica delle amazzoni, divenute compagne dei giovani Sciti, si riflette nelle descrizioni di Erodoto riguardo al genere di vita femminile: le donne sarmate vanno a cavallo, portano l’arco e partecipano alle guerre. Sempre riguardo il modus vivendi delle donne sauromate, Erodoto nota come queste non possano contrarre il matrimonio fino a che non abbiano ucciso almeno un uomo in battaglia, per mostrare quella che oggi chiameremmo parità di genere.

Successivi relatori storici antichi, come Tacito, dipingono i Sarmati come un popolo nomade «abituati a vivere in sella e sui carri». La generale barbarie di questo popolo si evince in maggior modo dal genere di vita peculiare: la dieta si basava unicamente sul consumo d’erbe raccolte commestibili e probabilmente di carne di cavallo.

Nei due secoli successivi alla conclusione delle guerre marcomanniche, i Sarmati sconfitti e superstiti ristrutturarono la propria identità tribale: per sopravvivere si unirono all'impero romano, o si fusero con orde ribelli rimanenti nell'est e non conquistate dai romani.

Dopo la caduta dell’Impero romano nulla si seppe più di loro, salvo vederli rispuntare nelle leggende.

La correlazione con Re Artù e la Spada nella Roccia

Nel 175, l'imperatore romano Marco Aurelio, quello che li aveva sconfitti, arruolò 8.000 Sarmati nell'esercito romano, 5.500 dei quali furono poi inviati lungo il confine settentrionale della Britannia romana (odierna Inghilterra). Là si unirono alla Legio VI Victrix, in cui prestava servizio un certo Lucio Artorio Casto. Invece di rimandare a casa questi guerrieri una volta terminati i loro 20 anni di servizio, le autorità romane li insediarono in una colonia militare nell'odierno Lancashire, dove fonti del 428 attesterebbero ancora la presenza di loro discendenti con la denominazione di "truppa dei veterani sarmati".

La cultura dei Sarmati presenta varie connessioni con le tradizioni arturiane. Oltre alla loro abilità come cavalieri pesanti (e i guerrieri di Artù sono cavalieri), i sarmati avevano un'enorme devozione, quasi religiosa, per le spade (il loro culto tribale era rivolto a una spada conficcata a terra, che presenta suggestive analogie con la leggendaria Spada nella roccia). Portavano anche vessilli a forma di draghi, un simbolo utilizzato anche da Artù e dal suo presunto padre, Uther Pendragon. Le loro cerimonie religiose erano celebrate da sciamani della loro terra natale, forse come Merlino, e comprendevano l'inalazione di vapori allucinogeni esalanti da un calderone (cosa che richiama le leggende sulle visioni del Santo Graal). Infine, per l'impossibilità odierna di individuare il luogo di sepoltura di Artù presso una località a nome Avalon, i sostenitori della leggenda vedono il collegamento con la pratica dei sarmati di seppellire i propri capi accanto ai fiumi, dove i loro corpi e averi erano presto dispersi dalla corrente.

Le sepolture dei sarmati

Poiché si facevano sepellire vicino a fonti d'acqua, sono arrivate a noi poche tombe. La maggior parte delle quali contiene i riferimenti alla cultura nomade e guerriera di allevatori di bestiame. Nelle tombe, anche femminili, sono stati trovati teschi di cavallo con il morso ancora in bocca, oltre a cavalieri con ancora in mano la loro spada. A significare forse che il sarmato guerriero, o allevatore di bestiame, si faceva sepellire con i suoi simboli di vita, incluso il suo destriero, maschio o femmina che fosse il defunto.

In alcune tombe sono stati reinvenuti cavalli interi dissezionati e posti a pancia in sù, ovvero in posizione riversa rispetto a quella normale del cavallo che non riposa a terra supino.

Il cavallo, o il suo teschio, normalmente sta a sinistra del defunto, oltre all'attrezzatura equestre ai piedi del cavaliere. Vicino al teschio sono state reinvenute spesso delle campanelle.

Campanelle erano appese ai finimenti dei cavalli perché non si perdessero al pascolo, ma anche come forma di allerta ai proprietari nel caso di avvicinamento di ladri. Le evidenze archeologiche mostrerebbero che le campanelle di cavalli erano diverse da quelle per altro bestiame e uniche nel suono che emettevano, tale per cui il cavaliere era in grado da lontano di sentire il rumore del suo specifico cavallo nel branco. Ecco perché, nelle varie sepolture dei guerrieri sarmati antichi, si sono trovate delle  campanelle che li legavano al loro cavallo come richiamo sonoro. Nelle tombe i finimenti riportavano simboli antichi della religione dei sarmati.

Nelle tombre ritrovate di solito si trova solo la testa del cavallo, non tutto il corpo, che probabilmente veniva mangiato.