Keepthename era una cavalla americana da corse al galoppo, che in gioventù era stata venduta per $ 250.000 e addestrata dall'allenatore della Hall of Fame Steve Asmussen: una cavalla importante dunque. Nei primi anni 2000 è stata ritirata dalle corse ed è finita a fare puledri. Ne ha fatti 12 in 17 anni, ma non è bastato a conquistarle il diritto a un fine carriera al prato. 

Nel 2022 un'associazione che si occupa di salvataggio di purosangue con sede in Oklahoma, l'ha identificata in un macello all'età di 23 anni, quando non poteva più partorire e quindi produrre un reddito per la filiera. Aveva un'infezione alla testa, che teneva sempre abbassata per il dolore e la disperazione. La sua situazione descriveva la negligenza peggiore di chi in precedenza l'aveva posseduta. E' stata fatta una colletta per riscattarla, ma il tutto si è concluso con l'eutanasia. L'infezione diffusa alla testa avrebbe richiesto un intervento chirurgico esteso per curarla, a cui probabilmente non sarebbe sopravvissuta.

La sua vita contava solo fino a che produceva un reddito.

Stiamo parlando di questo, del lato triste del mondo del cavallo, dove non è riconosciuta una dignità alla vita degli animali fuori dal reddito che producono.

Come si può ammirare un'industria che nasconde sistematicamente i suoi crimini, con i suoi sforzi per mantenere le distanze dai cavalli da cui non trae più profitto. Non esiste un sistema di monitoraggio permanente per i cavalli agonisti che la filiera crea e poi allontana quando non fanno più comodo.

Il sistema crea cavalli da corse e concorsi, ne trae profitto, poi li abbadona senza rivendicare alcuna responsabilità per ciò che accade loro dopo che hanno lasciato il circuito agonistico.

I cavalli vengono ceduti infinite volte in situazioni sconosciute, e sono completamente soli al mondo, senza una legge che li protegga, se non il principio astratto che questi cavalli non dovrebbero finire la loro vita in un macello.

Nel caso di Keepthename, nonostante più di $ 60.000 di guadagni solo dai suoi sforzi nelle corse, senza citare il ricavo dalla vendita dei suoi puledri, non Asmussen, non il suo allevatore Mocking Bird Farm Inc, né nessuno dei suoi contatti noti o le piste su cui correva, né quelli che l'hanno posseduta lungo la strada, né l'industria delle corse, a qualsiasi titolo, alla fine ha risposto giuridicamente per quello che è successo alla cavalla.

La stessa cosa avviene in Italia, quando un cavallo esce dall'agonismo, nessuno dei suoi precedenti proprietari, allenatori, allevatori, amazzoni, fantini o cavalieri, si assume alcuna responsabilità sul fine vita.

È il percorso esatto su cui si ritrovano migliaia di ex cavalli da corsa e concorso in Italia, scomparendo nell'oscurità, dove per molti significa la macellazione.

Non c'è mai stata un'evoluzione del modello di business del settore nel migliore interesse dei cavalli come priorità assoluta.

Chi vive di questo modello di business, invece di ascoltare le critiche, chiede più finanziamenti per potenziare questa filiera di irresponsabili e senza cuore.

I problemi con il benessere dei cavalli nelle corse e concorsi, palii, giostre e simili, sono sistemici e insiti nel modo stesso in cui i cavalli vengono avvicinati allo sport.

Agire veramente nel migliore interesse dei cavalli richiederebbe una profonda resa dei conti ideologica e norme cogenti che obblighino gli ex proprietari a farsi carico dei cavalli fino alla fine.

I cavalli contano abbastanza per adottare misure complicate e costose per proteggerli? Se la risposta è sì, ci sono speranze di sostenibilità etica per la filiera, se la risposta è no, e il destino dei cavalli va lasciato al caso, inutile che la filiera si lamenti per la sua reputazione poco pulita.

Per noi va data una priorità ai cavalli a ogni livello del processo decisionale: dall'allevamento all'assistenza post-vendita, al limite di corse e concorsi che un cavallo può fare durante la sua carriera, al limite al numero di anni di servizio, all'integrazione di uno stile di vita più naturale e adatto agli equini per i cavalli agonisti, con diritto al libero sgambamento e diniego di apertura di codici di stalla in quelle strutture non adeguate al benessere dei cavalli. E infine il finanziamento strutturale del fine carriera dei cavalli agonisti.

Ci deve essere inoltre un apparato intransigente di giudizio nei confronti di coloro che si liberano delle proprie responsabilità nei confronti del destino ultimo dei cavalli.

Bisogna essere terribilmente onesti. L'agonismo uccide i cavalli. Se non subito, non appena il cavallo e la cavalla non producono più alcun reddito. Pochi se ne salvano senza una soluzione strutturale per il fine carriera, che sia adeguatamente finanziata per tutti i cavalli in esubero dallo sport.

Un post su facebook per dare una breve finestra di opportunità per cavalli a fine carriera non è una soluzione strutturale, è un delegare ad altri le responsabilità di chi ha sfruttato prima il cavallo.

Non c'è inoltre alcun riconoscimento da parte della filiera che sfrutta i cavalli per coloro che, senza scopo di lucro, cercano di dare una nuova casa ai cavalli, giacché non c'è alcun finanziamento pubblico per queste attività.

La grossolana dimostrazione di ricchezza nelle corse e nei concorsi celebra così uno squilibrio etico mostruoso. Si finanzia lo sfruttamento, non si finanzia il salvataggio dei cavalli.

L'unica nota positiva in tutto questo è che il sistema giudiziario moderno riconosce sempre più gli animali come titolari di alcuni diritti fondamentali, inclusa la sopravvivenza del cavallo all'attività di lucro che lo ha messo al mondo. Tutti i cavalli hanno diritto a un futuro sicuro e questa evoluzione giuridica non si può arrestare solo perché farebbe comodo a chi specula solo a proprio vantaggio sulle vite dei cavalli.

E quindi prima o poi ci sarà la resa dei conti su questa filiera attuale del cavallo priva di pietà per le vittime collaterali che crea.