Fino almeno alla prima guerra mondiale i cavalli erano un elemento di quotidianità per gli esseri umani. Lavoravano, trasportavano, collegavano merci e persone. Alla fine della seconda guerra mondiale cominciavano già ad essere un ricordo del passato.
Tolti dal lavoro, relegati a svago e sport, quando non alla terapia, il loro decadimento in numero e popolarità è stato una costante fino ai giorni nostri.
Con l'estinzione del cavallo come necessità, se ne è andata anche la possibilità di imparare ad andare a cavallo come fatto normale della vita.
Ciò spiega perché la competenza pratica equestre sia assai diminuita nel tempo e oggi sia difficile reclutare nuove leve per l'equitazione tra persone che non hanno il cavallo nella propria tradizione familiare.
Imparare ad andare a cavallo oggi è più difficile, si comincia mediamente più tardi, si viene inscatolati subito in una delle possibili discipline senza neppure avere le basi dell'equitazione pratica, quella del semplice saper andare a cavallo, inteso letteralmente muoversi a cavallo, cioè spostarsi da un luogo all'altro. Senza sapere nulla di tutto questo, né di come ci si debba prendere cura di un cavallo, si può essere messi a cavallo in un rettangolo con la pretesa da parte dell'istruttore di instradare il novizio al salto ostacoli, piuttosto che al reining o a diversa disciplina istituzionalizzata per un circuito competitivo.
Quella della disciplina, che dovrebbe essere l'ultima scelta, dopo che si è imparato ad andare a cavallo, rischia di essere l'approccio per neofiti, con la conseguenza di un numero elevato di persone che rinunciano all'equitazione dopo averla provata, perché le aspettative rimangono deluse, ovvero lo stress, i costi e i rischi percepiti sono superiori ai vantaggi - sempre percepiti - del praticare i cavalli. I giovani cercano nel tempo libero divertimento e svago, non lavoro e dura disciplina.
Una fascinazione temporanea poco si abbina allo stile di vita che richiede la convivenza per lungo tempo con i cavalli, indispensabile per diventare competenti di cavalli, soprattutto ai fini delle discipline equestri convenzionali. Se a ciò si aggiunge che praticare equitazione è uno sport pericoloso, che non è proprio alla portata di portafoglio di tutti, in quanto costa il cavallo, costa mantenerlo, certe discipline equestri costano più di altre, è chiaro che un certo modo di proporre il cavallo, specialmente in tempi di crisi economica, non può essere popolare e dunque contribuisce a quel protrarsi del tramonto del cavallo nella nostra società iniziato con la rivoluzione delle macchine.
La nuova società e l'Eros
La società è in continua trasformazione e chi basa la propria vita sul mondo del cavallo, e la diffusione dunque dell'animale come fonte di lavoro e reddito, non può non chiedersi cosa cambierà per tentare di sopravvivere o di difendere il costruito.
Indubbiamente, il dato che maggiormente salta agli occhi nella nostra società è il mutarsi del rapporto tra persone e natura, dove alcuni animali, come i pets, sono sempre più percepiti come membri della famiglia. In Italia pare che uno dei pochi settori economici che non conosce crisi è la spesa per gli animali d'affezione. Non solo, le élite intellettuali preparano da tempo il campo della tutela della natura, e dunque delle risorse su cui vivere, a sfavore della mera crescita numerica degli esseri umani: "gli unici predatori incontrollabili in grado di rovinare la vita sulla terra depauperandone e avvelenandone le risorse". Ci si preoccupa dei cambiamenti climatici, dell'estinzione della fauna e flora selvatici, del trattamento degli animali inseriti nel ciclo produttivo, dell'ecologia perché è sinonimo di salute come mai prima, almeno dall'avvio della società industriale.
La società attuale, basata su un paradigma oramai in crisi, quello della crescita infinita e del benessere economico diffuso, che aveva trovato nella repressione della pulsione sessuale l'inevitabile sacrificio per la sopravvivenza del sistema sociale, almeno secondo il padre della psicologia Sigmund Freud, si sta evolvendo per la riconquista della libido perduta.
Il tutto era stato previsto dal sociologo Herbert Mancuse che in "Eros e civiltà", pubblicato nel 1955, individua nella repressione e nella nevrosi il prezzo della civiltà industriale attuale e nel disagio inibitivo, ad un certo punto, la causa di ribellione ad essa.
Marcuse rielabora il concetto di "alienazione" o di "estraniazione" proprio di Marx riferito alla società capitalistica. Il problema, secondo Marcuse, non è tanto il non essere proprietari del prodotto della catena industriale che si contribuisce, con il proprio lavoro, a creare, quanto nel fatto che asservendo il tipo di società attuale l'essere umano non è più in grado di esprimere il senso di libertà che si porta dentro, diventando esso stesso merce, prodotto di scambio.
Dice Marcuse che la civiltà è principalmente opera della forza dell'Eros che guida le scelte, nel bene e nel male, mentre la società industriale ha tratto la sua forza generatrice dalla sottrazione di libido. L’istinto in particolare secondo Marcuse coinciderebbe con l’Eros, sacrificato al dio denaro nel capitalismo. Solo l’Eros è in grado di far superare i criteri dell’efficienza e della produttività finalizzata al mero profitto facendo recuperare all'essere umano non solo parte della sessualità sacrificata, ma anche della sfera affettiva.
L’Eros, in questa accezione, è il principio del piacere e dell'affetto e coincide con l'istinto per la libertà.
In Eros e Amore, Igor Sibaldi, studioso di teologia e filosofia, dà questa definizione: Amor deriva dal latino ed a sua volta dal sanscrito kama, ed esprime il desiderio sessuale, l’eccitazione suscitata in un corpo da un altro corpo ed il piacere che si calcola di trarne. Leubh, germanico, da cui derivano Love, Liebe, Ljubov e che in latino divenne lubere (far piacere) e libere (essere liberi), che si può tradurre con avere caro, il cui senso più profondo potrebbe essere “voglio che tu ti senta libero e a tuo agio”.
E ancora, il primo a narrare di Eros è stato il poeta greco Esiodo, che lo colloca fra le divinità primordiali. Eros in antropologia viene posto nella categoria degli imbroglioni che compaiono nei miti di tutti i popoli e sono creatori di cultura; rappresentano, infatti, il principio del caos, del disordine ma anche la forza che libera dai tabù e dai limiti. Per la cultura ebraica Eros significa sia attenzione che nudità: è il vedere e il voler vedere, il desiderio di un denudare che possiamo intendere tanto nel senso più concreto, quanto metaforico, come togliere dalla mente ciò che limita la sua visuale. Socrate partendo da questo concetto dà la sua definizione di scala amoris: dall'amore carnale per i bei corpi, attraverso la sublimazione, all'amore universale, che è soprattutto compassione per l'altro, amore per la giustizia e per l'arte.
Paradossalmente, proprio perché la cultura richiede una sublimazione continua, non può che indebolire l'Eros primordiale o istintuale, distaccando dalle radici, producendo infine alienazione. Con la sua origine nella rinuncia, e sviluppandosi sotto rinunce progressive, la sublimazione degli istinti tende all’autodistruzione, samsara per il buddismo, una metempsicosi, strettamente congiunta alla concezione del karman, una liberazione sì dalla condizione terrena e dagli istinti, ma che coincide con l'esaurimento del ciclo di vita. Una condizione, chiaramente, non per tutti.
Il punto di svolta della robotica nella società contemporanea
L'enorme sviluppo delle forze produttive, soprattutto degli androidi che possono sostituire nella produzione l'essere umano, come prima le macchine hanno sostituito i cavalli nei trasporti, non può che lasciare molte persone prive di lavoro.
I robots possono o distruggere l'essere umano (distopia) o liberarlo dal lavoro e dalla fatica (utopia), lasciandogli molto tempo libero da dedicare ai piaceri, alla cura del corpo e della mente. Sicuramente cambierà il panorama degli dei (intesi come simboli) in cui identificarsi. Quindi Prometeo, l’eroe della fatica, del lavoro, della produttività, non sarà più un giorno il simbolo della società, perché il suo posto verrà occupato da altri, prima di tutto da Orfeo e da Narciso.
Orfeo, il "solitario agreste", è un personaggio della mitologia greca, un cantore (in campo equestre verrebbe definito un "sussurratore") che piega al suono della sua lira gli animali e tutta la natura. Narciso è anch'esso un personaggio della mitologia greca, un cacciatore, famoso per la sua bellezza e le sue conquiste amorose. Le immagini di Orfeo e di Narciso (che rappresentano l’arte di incantare gli animali e il bello delle conquiste amorose) riconciliano Eros e Thanatos, la vita e la morte. Esse rievocano l’esperienza di un mondo che non va dominato e controllato bensì liberato dai freni inibitori e dall'angoscia prometeica del principio di prestazione, conciliando arte, natura, libertà ed eros.
Che la società attuale si muova verso un nuovo edonismo, dove la gente si spoglia sui social dei propri freni inibitori, e in assenza di "lavoro" tradizionale, vorrebbe dedicarsi alla mera socializzazione e perseguimento del piacere nella vita è già un fatto.
Riflessi nel mondo dell'equitazione
Oggi vi è contrapposizione tra due accezioni di cultura equestre:
ll complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e religiosa come è stato ereditato per una determinata disciplina collegato a una realtà geografica e/o ad una classe socio-economica (la disciplina sopra il cavallo).
Quanto concorre alla formazione dell'individuo sul piano intellettuale e morale, oltre che di competenza pratica, per l'acquisizione della consapevolezza del ruolo che ha il proprietario per il benessere del binomio persona-cavallo, che oggi è imprescindibile dall'etologia animale, che comporta scelte gestionali e di impiego (la relazione sopra la disciplina);
Le istituzioni equestri mirerebbero a conservare l'accezione di cultura equestre legata alla disciplina sopra al cavallo, pensando - erroneamente nel lungo periodo - che essa garantisca maggiori profitti all'industria equestre.
Ma le nuove generazioni sono più sensibili al rapporto tra persona e ambiente e dunque alla relazione persona-cavallo, oltre che refrattarie al concetto di duro lavoro e fatica nella disciplina.
Oggi, se non si mette in primo piano il legame affettivo, quello che lega il proprietario a continuare a mantenere un cavallo, pur con i costi e i sacrifici che comporta, è destinato a fare pochi nuovi proseliti oltre ai già affiliati.
Laddove i soldi da investire sono pochi, le origini urbane, sono la relazione con l'animale e l'attrattiva di svolgere qualcosa in libertà in natura che possono diventare il criterio principale di socializzazione all'equitazione, rendendo necessaria un'evoluzione nell'approccio al cavallo, partendo dalle stesse scelte allevatoriali, perché un cavallo non è uguale all'altro e indubbiamente ci sono razze di cavalli più adatte alla "nuova equitazione", perché le aspettative siano corrisposte.
Il cavallo come soggetto, e non più come un prodotto, insieme alla più innovativa richiesta di libertà in equitazione (togliere finimenti e rinforzi coercitivi anziché aggiungerne) è la manifestazione più attuale di liberazione dalla disciplina e con essa dal lavoro e dalla fatica del prometeico asservimento alla prestazione, per la ricerca di libido e piacere nella disciplina equestre praticata e nel rapporto con il cavallo.
Lo "stato di libertà" con i cavalli, che si contrappone allo "stato di cattività" che lega ad essi, è una sfida che non sempre vede gli operatori all'uopo già pronti.
L'output più positivo, dal punto di vista non solo equino ma anche umano, del nuovo paradigma, è che la libertà stimola la cognitività e l'intelligenza emotiva, sia nelle persone, sia nei cavalli, aprendo a quel fronte "terapeutico" che attrae molte persone agli animali e in particolare al cavallo.
I giovani di oggi sono cresciuti in un sistema di pensiero diverso rispetto a quello che ha generato i vecchi modelli di equitazione. Ci sono segnali che mostrano che potrebbero non essere attratti dalla "detenzione di animali in cattività" da esibire come "belve" con tutte le pastoie del caso quando si fanno uscire dal box per dimostrare alla colletttività la valenza di forza e coraggio e la dominanza sulla natura animale, dunque sugli istinti.
Al contrario, sono sempre più le persone che vogliono possedere un cavallo solo per la gioia di averlo, che godono nel vederlo correre in un prato, che vogliono imparare a cavalcarlo senza troppi finimenti per dimostrare la relazione sopra la disciplina.
Basta andare sui social. Le prestazioni tradizionali a cavallo ricevono poca visibilità o likes. Basta che una persona qualuque posti il video di un cavallo in libertà che si fa i fatti suoi, introducendo che l'animale magari ha 30 anni ed è in perfetta forma, godendosi la vita facendo il cavallo, o che risponde ai richiami verbali come un cane, si fa cavalcare senza sella e finimenti, per ottenere tante condivisioni e likes, perché l'aspettativa di eros e ludos legata al cavallo è soddisfatta, almeno nella coscienza collettiva delle nuove generazioni.
Probabilmente la nuova equitazione, che pone al centro la relazione e la libertà, l'eros e l'affetto, la naturalezza e il gioco, a sfavore della prestazione "produttiva", sarà l'attrattiva autentica per il reclutamento delle nuove generazioni al cavallo.