La maggior parte delle persone ha una relazione complicata con il cavallo, puntellata da legacci, più che da un legame.
Quello che si vede spesso in circolazione, sono rapporti di bondage, dove non basta il doppio morso, va messo anche il chiudibocca, la martingala, la redine di ritorno, la frusta, gli speroni e non si sa quale altro finimento per ottemperare alla mancanza di un legame autentico e/o di capacità vere di stare con i cavalli o di gestirli in un assetto che non è quello del carceriere che deve tenere sottomesso il carcerato, perennemente confinato, fuori dall'esercizio eterodiretto, come fosse una belva feroce nella gabbia, rappresentata dal box.
Uno spettacolo sempre più inquietante, almeno per chi è sensibile ai diritti degli animali e li considera esseri senzienti, titolari di diritti che non dovrebbero essere negati e che, quando lo sono, disegnano un profilo alienante. Oltretutto, che crimini penali ha commesso il cavallo per meritarsi la galera a vita, con l'ora d'aria di movimento forzato dal suo carceriere?
Ottenere sicurezza con i cavalli attraverso il legame, non i legacci
Questo è un grosso problema. Sia per i neofiti, che nulla sanno di cavalli, che per quelli che hanno sempre avuto un approccio da predatori machisti, dove la violenza e l'abuso sono metà del piacere.
Il tema della fiducia, non solo tra cavallo e umano, ma anche tra umano e umano, è una chiave per le relazioni positive, e non si compera in ferramenta o selleria.
Il cavallo, e non solo lui, chiunque abbia sofferto o si trovi in una posizione di potenziale rimessa, chiede sempre a chiunque gli stia intorno: "Posso fidarmi di te?". Alle prime avvisaglie di tradimento, di pericolo, di dolore, di insicurezza, il cavallo, e con lui chiunque ne abbia già subite abbastanza nella vita da aver sviluppato diffidenza nei confronti del prossimo, si chiuderà in posizione di difesa, quando non di rappresaglia.
Conquistare la fiducia di un cavallo, o di una persona tendenzialmente diffidente, è un'opera che richiede tempo e pazienza. Sia nel caso di cavalli, che di persone che sono già state ferite, richiede consapevolezza di approcci, di "comunicazione non violenta e assertiva".
Come sviluppare queste capacità? Ebbene, non di certo al corso di equitazione di base del maneggio.
Quanti istruttori ne capiscono di psicologia equina o umana? Per quasi tutti coloro che usufruiscono del cavallo come se fosse un mezzo, l'equitazione è l'opera di sottomissione del cavallo al proprio ego, affidandosi a tutti i mezzi di contenimento possibili e alla mancanza di alternative di cavalli che, per sopravvivenza, hanno sviluppato delle routine in cui sanno cosa aspettarsi e, poiché non hanno scampo, fanno quanto loro richiesto.
Una situazione decisamente stretta per chi ha mentalità animalista e non vuole fare vittime animali per le proprie esigenze ludico ricreative sportive.
Il cavallo non è più indispensabile come un tempo, è un surplus, vale la pena entrare nel discorso dell'equitazione, dal punto di vista di animalisti, solo ed esclusivamente se si andranno a costruire dei legami e non delle relazioni complicate e tenute insieme dal bondage dei finimenti, con il senso di colpa continuo di un cavallo perennemente carcerato in un box, destinato alla macellazione quando non più funzionale.
Ora, per fortuna, la conquista del legame con il cavallo è molto più gratificante di qualsiasi altro percorso di equitazione. Quindi, esistono possibilità e canali per incentivare l'apprendimento di una relazione profonda e rispettosa con il cavallo.
Uno di questi, è leggere saggi e guardare video messi insieme da chi è più avanti nel percorso, almeno per farsi un'idea di partenza discriminante. Un altro, è partecipare a seminari di etologia applicata. Un altro ancora, scegliere il posto e il maestro giusti. Ma, per prima cosa, occorre mettere da parte l'idea di diventare un "grande cavaliere". Perché, in questo cammino, la grandezza la dà la misura della profondità della relazione con il cavallo, e non il risultato sportivo.
Gli insegnanti di etologia applicata al cavallo, per un'equitazione più rispettosa, sono istruttori di "condotta", ovvero si recano sul posto dove è richiesta la prestazione a cadenza concordata con il proprietario del cavallo. Il resto del lavoro, ciascuno lo deve fare da solo, su se stesso e sul proprio cavallo.
Se si vuole una soluzione chiavi in mano, a zero fatica, non è il percorso adatto.
Attenzione, questi trainer non sono ammessi in tutti i maneggi. L'istruttore di equitazione convenzionale, piuttosto che il gestore del maneggio, potrebbero non essere d'accordo, vedendo in queste figure esterne una minaccia al loro profitto.
Scegliere il posto giusto significa anche selezionare un ambiente dove non è impedita:
a) la libera movimentazione del cavallo almeno per parte della giornata,
b) il libero apprendimento e crescita personale del proprietario del cavallo.
Essere coltivatori di relazioni e non predatori delle stesse
Per costruire legami profondi con animali che in natura sono prede, occorre coltivare le relazioni, non catturarle contro la loro voglia. Essere "pazienti" con il cavallo è estremamente importante. Dal punto di vista del cavallo, la disciminante non è la messa in sicurezza del cavaliere, ma la propria. Nessun cavallo che si sente minacciato, insicuro, in pericolo, sarà un animale facile da gestire. Più il cavallo è sereno di suo, perché inserito in un assetto dove non ci sono predatori in giro, più è disponibile ad apprendere cose nuove e a relazionarsi senza timore e senza fare opposizioni.
Non essere nervosi nell'approccio è fondamentale. Mettere il cavallo a suo agio, determinante. Stabilire dei paletti, dei confini da rispettare, vitale, perché è nella psicologia del cavallo, nel suo DNA, mettere sempre in discussione chi gli sta intorno. In natura, è l'unico modo per rafforzare la mandria e maggiorare le chance di sopravvivenza.
A nulla sono valse le migliaia di anni di domesticazione del cavallo. Un cavallo è sempre un cavallo e l'istinto dominante del cavallo domestico è medesimo a quello del cavallo selvatico, ovvero la fuga dai predatori e l'equilibrio dinamico.
Imparare a muoversi correttamente attorno a un cavallo non è impossibile, ma richiede studio, ripetizione, pratica, esperienza.
Ogni scelta è esclusiva e pone di fronte a un bivio
Essenzialmente sono due i percorsi che è possibile fare con i cavalli.
- La Via dei Tanti per sfuggire a se stessi
- La Via dell'Uno per cercare se stessi
La Via dei Tanti è la più diffusa e la più banale anche tra gli amatori, coloro cioè che non devono fare dei cavalli una professione. Consiste nel cambiamento dei cavalli (e degli accessori) alla perenne ricerca di un miglioramento esterno, dell'apparire, dell'avere, non dell'essere, come direbbe Erich Fromm, disperdendo le energie e facendo vittime, perché è sempre colpa dell'altro, del cavallo, dell'istruttore, del caso, se non funziona, se il cavallo si incidenta, se il cavallo è ribelle, se il cavallo si fa male, se il cavallo non vince abbastanza per soddisfare l'ego.
Ovvero, possono esserci circostanze in cui la separazione dal proprio cavallo è circa obbligatoria, ma nel resto dei casi è solo la superficialità, l'egoismo e la mancanza di rispetto per la vita dei cavalli il movente.
La Via dell'Uno è più ardua, perché più solitaria di questi tempi, ma non fa vittime, che è un plusvalore immenso. Consiste nel consolidare il rapporto con un unico cavallo per la vita, affrontando con lui tutte le esperienze, le discipline, le tecniche, i finimenti, i vari maestri, con uno sguardo alla conservazione della relazione, che spingerà a non oltrepassare certi limiti.
La Via dell'Uno - ovvero l'unica disciplina equestre animalista
Questo è un percorso dove si lavora per un risveglio della coscienza, dove non importano solo le proprie esigenze, ma anche quelle del cavallo, per amare ed essere amati, per saper donare e saper ricevere, per sapere ascoltare ed essere ascoltati, per accettare gli inevitabili alti e bassi, anche di espressione fisica, di salute, di stati d'animo, che caratterizzano non solo il rapporto con il cavallo, ma la vita stessa.
In questo percorso, non si cambia il cavallo, semmai si cambia la disciplina, se il cavallo non può più continuare su quella precedentemente affrontata per subentro di età, infortuni, malattie, e non si hanno le risorse economiche per mantenere, responsabilmente e amorevolente, più di un cavallo.
La via dell'uno è l'unica che aiuta spiritualmente a sentirsi bene, perché lavora sull'accettazione dei limiti, propri e altrui, sulla presenza e mutuo soccorso tra amici, anche in caso di difficoltà e, in sintesi, è la sola strada che può portare a una simbiosi profonda con il cavallo, la cui psicologia è già portata a riconoscersi in un'unità dinamica con il suo branco.
Non è una via di noia, perché c'è sempre da imparare, perché quello che si può affrontare con un cavallo è su più piani, perché sono tantissime le discipline affrontabili con lo stesso cavallo e non tutte richiedono una "macchina" perfetta, imprigionata, e privata della sua anima per poter andare avanti. Vale anche la perna di ricordare che voler bene ad un cavallo come amico e membro della famiglia non significa possederlo in maniera esclusiva, limitare la sua libertà di relazioni con conspecifici o altre persone; al contrario, l'amore può aprirsi all'intero universo, spalancando inattese prospettive, le sole che insegnano a sviluppare la propria personalità e a raggiungere la pienezza affettiva.
Infine, la Via dell'Uno è l'unica adatta a chi professa una fede animalista, dove il cavallo non è un oggetto, bensì un soggetto di diritti con esigenze specie specifiche da rispettare.
Se il viaggiatore ha perso la Via e si è smarrito, è sempre possibile tornare alla Via Maestra, anzi, è raccomandabile farlo quanto prima.
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