Con sentenza emessa in data 21 aprile 2017, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza emessa il 18 marzo 2014 dal Tribunale di Forlì, con cui un allenatore e proprietario di cavallo da corsa al trotto erano stati condannati alla pena di mesi 5 di reclusione ciascuno, in ordine ai reati di cui agli art. 110 e 544 ter cod. pen. e 1 della legge n. 401/1989, in relazione al D.M. 3 febbraio 2006 (lista delle sostanze dopanti e biologicamente o farmacologicamente attive e delle pratiche mediche, il cui impiego è considerato doping), perché, in concorso tra loro, il primo quale proprietario e il secondo quale allenatore, somministravano la sostanza dopante "idrossimepicacaina - mepivacaina" (anestetico) ad un cavallo prima di una manifestazione ippica all'Ippodromo di Cesena nel luglio del 2010, classificandosi al quarto posto, al fine di raggiungere risultati diversi da quelli conseguenti al corretto e leale svolgimento delle competizioni sportive, in assenza di esigenze terapeutiche.

Il cavallo si chiamava IC Om, allenato da Citarella.

I condannati ricorrevano alla Cassazione: Penale Sent. Sez. 3 Num. 35176 Anno 2018. Tra le varie doglianze, i condannati lamentavano l'assenza di accertamento peritale, a parte le analisi di Unire lab sul campione.

Secondo la Cassazione, al fine di accertare l'idoneità della sostanza iniettata al cavallo, non era del resto necessario alcun accertamento peritale, essendo pacifico che la sostanza in questione era un analgesico, che esclude o comunque attenua decisamente la percezione del dolore dell'animale, rendendo insensibile il tessuto muscolare del cavallo agli sforzi fisici, migliorandone quindi le prestazioni e il rendimento.

Dice la Cassazione che la condotta descritta è peraltro idonea a integrare anche il reato, senz'altro concorrente, di cui all'art. 544 ter cod. pen.(maltrattamento); recita, infatti, il secondo comma della norma incriminatrice che la stessa pena prevista dal primo / comma si applica a chiunque somministri agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi, trattandosi quindi di una ipotesi di maltrattamento legata al solo fatto della somministrazione di sostanze vietate all'animale, sicché una volta accertato tale evento non occorre altra indagine.

Deve quindi ribadirsi che la somministrazione non sotto diretto controllo medico di sostanza medicinale con il malcelato fine di lenire il dolore, ma in realtà con il proposito di consentire a un cavallo afflitto da patologie muscolari di partecipare ugualmente a una gara, alla quale in presenza di dolore non avrebbe potuto partecipare, integra una ipotesi di maltrattamento perché non garantisce il benessere dell'animale, ma anzi lo espone a situazioni di stress (comuni nelle competizioni sportive) e a rischi ulteriori che possano pregiudicarne in modo ancor più significativo il suo stato psico-fisico. Correttamente è stata dunque affermata la penale responsabilità dei ricorrenti in ordine ai reati loro ascritti.

I 2 imputati avevano fatto ricorso in Cassazione per annullare o riformare la pena, ottenendo solo l'annullamento al diniego della sospensione condizionale della pena nei confronti del proprietario e un reinvio per nuovo giudizio sulla sospensione dal carcere ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
Il punto è, come mai l'allenatore è stato condannato per doping e maltrattamento, sentenza confermata dalla Cassazione, ma continua ad allenare imperterrito?
E non è l'unico caso.