Cass. Sez. III Pen. 16 marzo 2021, n. 10122 -
Animali - Allevamento di equidi -Sofferenze provocate agli animali (asini, cavalli e un mulo), costretti in spazi ridotti, pieni di liquami, feci e occupati anche da carcasse in decomposizione.
FATTO
Il Tribunale di Vercelli, in composizione monocratica, ha, con sentenza del 1 aprile 2019, dichiarato la penale responsabilità di M.P. e di M.M. in ordine al reato, in ipotesi commesso in concorso fra i due, di cui all’art. 727 c.p., comma 2, per avere detenuto n. 28 cavalli, 11 asini ed 1 mulo in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi per le predetta bestie di gravi sofferenze.
In particolare, secondo la accusa ritenuta comprovata in giudizio, gli animali di cui sopra erano allevati in ambienti sporchi, privi di acqua, in condizioni di degrado statico e di dimensioni insufficienti; gli stessi erano caratterizzati dalla presenza di liquami fangosi, feci non rimosse e carcasse di altri animali in stato di decomposizione.
Il Tribunale di Vercelli ha, pertanto, condannato i predetti imputati - il secondo in quanto titolare e gestore dell’allevamento, il primo in quanto medico veterinario che, ben a conoscenza della situazione esistente nell’allevamento condotto dal coimputato, del quale egli è, peraltro, il fratello, si occupava personalmente e stabilmente degli aspetti sanitari riguardanti la citata struttura -- alla pena di Euro 4.500,00 di ammenda M.M. ed alla pena, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, di Euro 3.000,00 di ammenda M.P. , avendo per ambedue escluso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna pronunziata.
Il Tribunale, tenuto conto della condanna, ha altresì disposto la confisca degli animali in sequestro ed il loro affidamento ad enti od associazioni competenti che ne facciano richiesta da individuarsi tramite la Polizia giudiziaria.
La Cassazione
Il ricorso in Cassazione ha annullato la pena per il veterinario, rimandando per la decisione in merito al Tribunale di Vercelli, e confermata quella per l'allevatore.
Secondo la Cassazione infatti, il Tribunale di Vercelli avrebbe dovuto valutare alla luce dei rilievi esposti la sussistenza o meno degli estremi per l’affermazione della responsabilità a titolo concorsuale nel reato contestato all'allevatore, a fronte del fatto che il veterinario ha asserito nella sua difesa di avere solo compiti esecutivi e non decisionali in merito al benessere degli animali.
Per quanto rigurarda il maltrattamento degli animali, la Corte rileva che il reato contestato si verifica ogni qual volta risulti che un soggetto detenga animali in condizioni tali da determinare loro gravi sofferenze, dovendosi intendere queste ultime sussistenti non solo in quanto le modalità di detenzione determinino la insorgenza di processi patologici ma anche in quanto siano tali da determinare a carico dei quelli mere sofferenze (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 aprile 2019, n. 14734), si rileva che nel caso di specie la sentenza impugnata ha ben chiarito che le modalità di custodia ed allevamento delle bestie detenute dall'uomo fossero indubbiamente tali da generare in queste delle condizioni di vita chiaramente incompatibili con il benessere.
L'allevatore si è difeso dicendo che la presenza del fango nei luogi di stabulazione era frutto di abbondanti piogge. Difesa rigettata dalla Corte, perché, in assenza si fenomeni esondativi, non il fango non potea essere entrato all’interno degli alloggiamenti degli animali, sia perché non solamente di fango si trattava ma anche di letame, circostanza che fa ritenere che i cavalli fossero mantenuti negli stessi locali ove veniva conservato il frutto delle loro deiezioni.
Lo stesso dicasi quanto alla struttura edificata all’interno della quale gli animali erano ricoverati, avente una superficie di 24 mq circa, che viene definita, in termini anche eufemistici, "insufficiente ad ospitare i quaranta cavalli" (recte: equidi ndr) ivi allogati. Parimenti per ciò che attiene ai rifornimenti di alimenti e acqua che sono stati riferiti essere, secondo quanto la sentenza ha riportato, non adeguati.
Dire che si trattava di un allevamento allo stato brado, come sostenuto dal ricorrente, non comporta certo che le bestie, all’occorrenza, non potessero avere un adeguato locale coperto ove trovare alla bisogna ricovero.
Riguardo al motivo di ricorso riferito alla mancata attribuzione al ricorrente del beneficio delle circostanze attenuanti generiche si rileva che siffatta scelta è stata adeguatamente motivata da parte del giudice del merito stante la assenza di qualsivoglia iniziativa riparatoria da parte del prevenuto il quale, secondo quanto riferito, senza che ciò abbia trovato un’adeguata smentita, ha anche certato di realizzare il trasferimento degli equidi in un’altra struttura a lui riferibile, la quale - ed in ciò vi è la riprova della assenza di un’adeguata raggiunta consapevolezza del malfatto, fattore questo che si pone, secondo il condivisibile orientamento del giudice di primo grado, siccome ostativo al riconoscimento del beneficio - era egualmente inadatta ad una loro congrua custodia.