Nel 2005 una donna cadeva da cavallo nel cagliaritano durante una lezione di equitazione e citava in giudizio il circolo e l'istruttore per i danni, una frattura al femore, sostenendo che il cavallo non fosse adatto a principianti. 

Il Tribunale di Cagliari nel 2017 sentenziava in primo grado che il risarcimento era dovuto. La corte di appello, nel 2018, invece sentenziava che il risarcimento non fosse dovuto, evidenziando che “in tema di esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 cc, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito (e cioè l’eccezionalità ed imprevedibilità) e sia idonea da sola a provocare l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori”.

In particolare, l'incidente veniva ascritto in via esclusiva alla condotta incauta dell’allieva, la quale non avrebbe ascoltato le istruzioni dell’insegnante ed anzi si sarebbe comportata in modo non diligente. Nella ricostruzioni del sinistro, infatti, era emerso che la dinamica era diversa da quella prospettata dalla richiedente i danni; in particolare, era stato accertato che alla donna era stata assegnata una cavalla da "scuola" utilizzata per principianti.

La donna caduta aveva già preso circa 6 lezioni e non era quindi alla prima esperienza in quel maneggio. Secondo le testimonianze, inoltre, l'allieva non aveva seguito le istruzioni e di conseguenza, a giudizio della Corte di Appello di Cagliari, doveva ritenersi che la caduta dal cavallo non fosse stata provocata da un movimento repentino dell’animale, ma dalla condotta non diligente della ricorrente medesima, che non aveva seguito le istruzioni su come fermarsi durante una lezione di gruppo ed era perciò caduta procurandosi nell'incidente la frattura al femore.

Nel 2020 sì è concluso il terzo e ultimo grado, con la Cassazione che ha giudicato l'appello inamissibile in quanto strutturato come doglianza al contenuto della sentenza di secondo grado, ma senza sussistenza di violazione dell’art. 2697 c.c. che si configura “se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo ‘onus probandi’ a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”, e non quando, come nel caso in esame, “ci si duole solo che la Corte territoriale, a seguito del procedimento di acquisizione e valutazione del materiale probatorio strumentale alla decisione, abbia valutato i fatti in modo diverso da quanto auspicato dalla parte stessa”.

La sentenza