Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5235 del 3 febbraio 2017
Maltrattamento di animali. Competizione sportiva e doping. Cavallo afflitto da patologie muscolari. Partecipazione ad una gara. Somministrazione di farmaci antidolorifici senza specifiche necessità terapeutiche. Configurabilità del reato di maltrattamento.
Il Fatto
Con sentenza del 29 gennaio 2015 la Corte di Appello di Palermo condannava un allenatore ippico per aver dopato il cavallo Nick dei Fiori all'Ippodromo La Favorita di Palermo, cavallo risultato positivo alle analisi antidoping svolte dall’UNIRE in occasione della gara "Treviso" con il Diclofenac, una sostanza dopante.
La difesa lamentava che la somministrazione di tale sostanza non dovesse essere subordinata ad alcuna prescrizione medica e/o certificazione medico-veterinaria con conseguente inconfigurabilità del reato di cui all’art. 348 cod. pen. Ed infine, con riferimento alla imputazione di doping, il condannato sosteneva che il farmaco somministrato contribuiva in realtà al benessere dell’animale avendo effetti lenitivi del dolore e del processo infiammatorio affliggente l’animale.
Il ricorso in Cassazione è stato rigettato
Per un corretto inquadramento della vicenda processuale va ricordato in punto di fatto – così come può evincersi dalla sentenza di primo grado cui quella impugnata si richiama – che nel corso di accertamenti compiuti dagli organi ispettivi antidoping dell’UNIRE in occasione della competizione sportiva “Treviso” svoltasi presso l’ippodromo “La Favorita” di Palermo, il cavallo denominato “Nick dei Fiori” sottoposto a prelievo veniva riscontrato positivo alle analisi in riferimento al farmaco Diclofenac (un anti infiammatorio). Anche le seconde analisi eseguite presso un laboratorio sito in Francia previo avviso alle parti frattanto identificate nel proprietario del cavallo e nell’allenatore, sortivano lo stesso risultato. Da qui l’inizio dell’azione penale sfociata poi nella sentenza di condanna impugnata, confermata dalla Corte di Appello di Palermo.
Ha reputato quindi la Cassazione che la somministrazione non sotto diretto controllo medico di sostanza medicamentosa con il malcelato fine di lenire il dolore, fosse in realtà con il proposito di consentire ad un cavallo afflitto da patologie muscolari di partecipare ugualmente ad una gara alla quale in presenza di dolore non avrebbe potuto partecipare.
E questo integra una ipotesi di maltrattamento perché non garantisce il benessere dell’animale; né una apparente e temporanea situazione di benessere vale ad escludere la configurabilità del reato in quanto il concetto di benessere evoca il concetto di qualità della vita del singolo animale come da esso percepita e presuppone che l’animale goda buona salute.
In altri termini, il benessere animale nel suo complesso, oltre a ricomprendere la salute e il benessere fisico, esige che l’animale in quanto essere senziente goda di un benessere psicologico e sia in grado di poter esprimere i suoi comportamenti naturali. Ne consegue che la somministrazione ad opera dell’uomo di farmaci senza specifiche necessità terapeutiche non può rientrare nel concetto di garanzia del benessere animale anche perché in realtà tale azione intende perseguire ben altra finalità. Senza dire che la somministrazione di farmaci antidolorifici al cavallo in vista della sua partecipazione ad una gara espone comunque l’animale, proprio perché non clinicamente guarito ed in buona salute ab origine a situazioni di stress (assolutamente comuni nelle competizioni sportive) e rischi ulteriori che possano pregiudicarne in modo ancor più significativo il suo stato psico-fisico.
Con riferimento, infine, all’aspetto riguardante l’asserita erronea conferma della condanna per il delitto di cui all’art. 348 cod. pen., ribadito – come ricordato dalla Corte territoriale – che il diclofenac è un farmaco da somministrare sotto diretto controllo medico, integra certamente il reato in parola, come esattamente ritenuto dalla Corte distrettuale, la condotta di somministrazione di farmaci ad opera di soggetti non aventi la qualifica di medico- veterinario. E’ pacifico infatti che a somministrare il diclofenac sia stato l’allenatore del cavallo, sprovvisto di apposito titolo professionale che lo abilitasse all’esercizio della professione sanitaria, necessaria per la somministrazione di farmaci sotto diretto controllo medico: il requisito dell’abusività implica necessariamente che la professione sia esercitata in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge.
Né il fatto che il farmaco potesse essere acquistato in farmacia senza apposita prescrizione rientrando nella categoria dei cd. “farmaci da banco” vale ad escludere il reato in esame, in quanto la condotta punibile, nel caso de quo non era tanto l’acquisto del diclofenac senza apposita prescrizione, quanto la somministrazione senza diretto controllo medico di una sostanza medicamentosa ad opera di soggetto non abilitato.
Pertanto la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per i reati ascritti all'allenatore.