Un processo di Cassazione (penale 50010, 2018) si è svolto nel 2018 su ricorso di un circolo ippico del comprensorio fiorentino che era stato punito dal Tribunale di Firenze nel 2015 all'ammenda di euro 1800,00 essendo stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 c.p. e 256 comma secondo d.lgs. 152/2006, perché l'associazione sportiva dilettantistica depositava in modo incontrollato sul terreno rifiuti speciali non pericolosi come il letame dei cavalli, fatto accertato dalla asl sanitaria pertinente per quel Comune.
Tale letame, classificato CER 02.01.06, feci di cavalli, consisteva secondo l'accusa in kg da 525 a 700 al giorno, depositati irregolarmente nel 2013 in un recinto per cavalli.
Avverso tale sentenza, il maneggio, tramite il proprio difensore di fiducia, aveva proposto appello, convertito in ricorso per cassazione ex art. 568 c.p.p., in considerazione della inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria (art. 593 comma 3 c.p.p.), lamentando l'erronea valutazione delle risultanze processuali in riferimento a due aspetti specifici emersi in dibattimento: 1) il giudice di primo grado non avrebbe valutato il documento prodotto dalla difesa consistente nell'atto costitutivo dell'Associazione Sportiva Dilettantistica in questione, dove si legge all'art. 3 della lett c) del citato atto tra le diverse attività che possono essere svolte, "l'allevamento e addestramento del cavallo". L'attività di allevamento sarebbe ricompresa nell'attività agricola, soprattutto a seguito delle modifiche intervenute con il D. Lgs. 228/01 all'art. 2135 c.c. dove si parla di "allevamento di animali" e non più di "allevamento di bestiame". Rientrando i cavalli nel più ampio genus degli animali, nessun dubbio doveva esserci circa la qualifica di impresa agricola dell'associazione; 2) sarebbe errata la valutazione del contenuto della testimonianza secondo la quale il letame sarebbe stato presente in un piazzale recintato. L'appezzamento di terreno occupato dalle attività dei cavalli si qualificherebbe come paddock, secondo la difesa, ossia manto erboso ove i cavalli sostano prima dell'attività cui sono destinati, al fine di pascolo e di riposo. La recinzione esisteva, secondo la difesa, ma per il solo fatto di evitare che i cavalli stessi finissero sulla pubblica via. Sulla base di tale premesse, la difesa sosteneva che l'attività dell'Associazione de quo doveva essere qualificata un'attività di allevamento, tipicamente agricola, e in quanto tale il reimpiego dello stallatico per le attività del maneggio dovesse essere considerato attività lecita e sottratta al quadro applicativo del d.lgs. 152/06.
Il motivo di ricorso è stato considerato infondato.
Secondo la Cassazione, nel caso di specie, la sentenza del Tribunale di Firenze motivava adeguatamente e ampiamente su tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'imputazione, in particolare riferendosi alla circostanza che il terreno dato in locazione all'Associazione era stato sottoposto ad un sopralluogo da parte della ASL del Comune nel comprensorio di Firenze, i cui ispettori avevano accertato l'irregolarità nello smaltimento dei rifiuti nonché la presenza di una quantità consistente di deiezioni di animali.