L'obbligo di recinzione per palettare gli equini vaganti e la fine dell'allevamento di cavalli bradi in Italia
C'era un tempo in cui i cavalli potevano essere pascolati su terreni demaniali con affitti agevolati. Centinaia di zoccoli sollevavano la polvere mentre transumavano. Un gruppo di uomini robusti a cavallo formava una barriera attorno agli animali e li teneva tutti insieme in una mandria semi brada.
Poi è nata la disaffezione degli italiani nei confronti del cavallo come animale da allevamento per la carne. Poi è nato il problema degli allevamenti non controllati, della macellazione abusiva, della necessità di tracciabilità e dei problemi alla sicurezza pubblica dati da equini vaganti. Poi sono nate le ordinanze di sgombero degli equini in esubero, sequestrati o confiscati per essere ricollocati.
Il declino dei mandriani di cavalli italiani
Lentamente, i mandriani di cavalli sono diventati sempre più rari e meno necessari. Una serie di stagioni critiche per il prezzo del fieno ha decimato la filiera equina del cavallo brado, in un paese come l'Italia per lo più ad agricoltura intensiva. Sempre meno persone vogliono fare il lavoro di allevamento di equini per il macello. Il lavoro duro, le paghe basse, i profitti risicati, il costo elevato del fieno quando i cavalli non sono in grado di fare affidamento sui pascoli demaniali, parte dell'opinione pubblica avversa alla macellazione equina, hanno fatto il resto.
Uomini di cavalli o allevatori di bestiame da carne? Un tempo le due cose coincidevano, oggi collidono
E' il tramonto di un'epoca, che porta in sé anche disagi e tristezze, oltre a nuove prospettive di tutela per il cavallo.
Un tempo era forse normale tagliare la carne bovina con la carne equina, le etichette non erano dettagliate. Oggi è una truffa economica per abbattere il costo delle materie prime del prodotto alimentare. La carne di cavallo, infatti, viene pagata all'allevatore un quinto rispetto alla carne bovina. Un bel risparmio per i produttori di alimenti a carni miste. Ma ci sono consumatori che non vogliono, giustamente dal loro punto di vista, mangiare carne non dichiarata in etichetta e di incerta provenienza, e coloro che considerano il cavallo animale d'affezione, non macellabile dunque.
L'allevamento di cavalli bradi per il macello
Dove i cavalli sono allevati non per sport, ma per la macellazione (che non esclude che qualche soggetto sia impiegato per la sella), che si tratti di Italia o di estero, l'allevamento prevede sempre cavalli bradi. Del resto, un puledro di un anno di vita si vende al macello a circa 300 euro, e consuma 50 euro di fieno al mese. E' comprensibile che sarebbe insostenibile l'allevamento intensivo di cavalli scuderizzati per il macello. Quale scemo spenderebbe 700 euro minimo, senza costi di veterinaria e mascalcia e registrazione in anagrafe, per prenderne 300 alla fine dell'anno quando invia il puledro al macello? Piuttosto che spenderne 1500, per prenderne 600 se invia il cavallo al macello a due anni? Un vitello di un anno si vende a 3 volte il prezzo di un puledro da macello. In pratica si va da 1 euro, massimo 2, al kg per cavallo, a 5 euro al kg per un bovino allevato al pascolo, dunque di qualità. Sono questi i prezzi di mercato per i cavalli "da carne". Ne consegue che gli unici allevamenti di cavalli da carne in Italia, filiera "garantita", sono allevamenti di cavalli bradi, dove l'allevatore non spende nulla per nutrire gli animali, se non in condizioni climatiche avverse e temporanee, e una volta l'anno fa la cernita dei maschi in esubero che invia prontamente al macello.
Oggi però quello del "mandriano di cavalli da carne" è un mestiere sempre meno redditizio e sempre più complesso. Soprattutto con tutte le nuove regole e burocrazie, che sono accidie sui costi di allevamento. Si pensi che solo per per chippare il cavallo e metterlo in regola in anagrafe, incluso per la macellazione, se ne va una parte del già risicato profitto.
Esistono tuttavia zone - per lo più inadatte all'agricoltura - di regioni, dove gli allevatori di equini da macello resistono ancora e prendono contributi allevatoriali, perché essere allevatore di cavalli da macello, ai fini normativi, non è diverso da essere allevatore di qualsiasi altra specie da macello. Si pensi ai TPR sui monti di Abruzzo e Molise, piuttosto che agli Haflinger sui monti del Trentino Alto Adige, piuttosto che agli allevamenti di equidi per latte (asina) e macello sui monti del Piemonte e della Liguria, o gli allevamenti di giarini o anglo arabi nel centro della Sardegna, per chiudere con i maremmani dell'appennino Tosco Laziale.
La tutela del cavallo tra realtà e fiction
Si può tranquillamente non essere d'accordo, e vedere il cavallo solo come animale da compagnia, affetto, sport, terapia, ma occorre non scordarsi che l'ambiente sportivo è il luogo dove il cavallo viene non di rado deprivato di se stesso, dove vive spesso recluso dai suoi simili, scuderizzato se non per uscire al lavoro, dove l'animale è impiegato per le sue qualità atletiche, magari potenziate attraverso sostanze mediche, per poi abbandonarlo a se stesso quando non serve più, e quindi finisce al macello comunque quel cavallo non allevato per la macellazione, e finisce nel circuito abusivo, che è il peggiore di tutti.
Va da sé che, con il riconoscimento del cavallo come animale d'affezione, che richiederebbe un capitolo di spesa per pensare alla tutela dei senza famiglia, diverse razze equine andrebbero all'estinzione, come verrebbero a meno nel nostro paese i cavalli bradi, ovvero allevati liberi, per finire esclusivamente contenuti - in qualità di cavalli nullafacenti - in pochi rifugi e santuari, come dire zoo di preservazione, piuttosto che pensionati per cavalli anziani ove soggiornano gli esuberi dei cavalli impiegati per sport e ricreazione. La perdita di molte razze, nel complesso di tutto ciò che distrugge l'umano, sarebbe forse scarsa perdita, tanto più che in natura le razze di cavalli non esistono, perché si parla di genotipi, non di razze, queste ultime essendo "una costruzione" umana frutto di scelte allevatoriali. Ma le ipocrisie meglio lasciarle a casa, perché non contribuiscono né alla trasparenza, né alla tutela del cavallo, ma fanno comodo solo al partito della macellazione abusiva dei cavalli post loro impiego nel mondo dello sport e ricreazione.
Ripensare al ruolo del cavallo nella nostra società richiede innanzitutto conoscere la storia del cavallo e avere ben presente che non esistono scelte non esclusive. Ovvero ogni strada intrapresa ha delle conseguenze: sociali, economiche, politiche e persino zoo-ambientali. Ogni scelta ha una sua rinuncia. L'importante è esserne consapevoli.