Chi ha cavalli conosce l'importanza della cura dei piedi e sa come interventi non qualificati per la manutenzione dei medesimi possano addirittura peggiorare le situazioni quando non azzoppare i cavalli.
Eppure, quella del maniscalco non è ancora una professione regolamentata che richiede obbligatoriamente la registrazione degli operatori presso la sanità pubblica territoriale di pertinenza, un albo di certificazione, l'obbligatorietà di corsi di aggiornamento e ad un'assicurazione nel caso si facciano involontariamente danni a terzi.
La certificazione dei maniscalchi in Italia è una disputa di lungo corso, dato che molti maniscalchi e pareggiatori si sono fatti sul campo, come arte, senza avere l'obbligo di conseguire un diploma presso una scuola professionale riconosciuta.
Agli occhi dell'avanguardia dei maniscalchi, l'arte e la scienza della podologia equina avrebbero oggi bisogno di una qualche forma di regolamentazione per garantire la protezione degli equini e quindi tutelare i loro proprietari migliorando gli standard e la qualità della cura dei piedi.
In passato non serviva, diventava maniscalco il figlio del maniscalco, o un garzone che lo seguiva ovunque, dopo un apprendistato lungo una vita. Oggi, chiunque può alzarsi alla mattina e professarsi maniscalco, anche se costui si è limitato a fare un corso della durata di un paio di fine settimana presso scuole private, non riconosciute, con ovvie conseguenze nefaste se l'intervento ai piedi è sbagliato per lacuna di formazione e di esperienza.
Le chiavi per migliorare la professione per i futuri praticanti si trovano nella formazione professionale, attraverso standard minimi di pratica, test oggettivi e credenziali per permettere l'iscrizione ad un albo che riflettano le capacità e le conoscenze dell'operatore professionale.
Chi è contrario ad addivenire al brevetto di mascalcia sostiene che il libero mercato è più che sufficiente per determinare chi deve andare avanti e chi no, perché quella del maniscalco è soprattutto una professione per passaparola, basata sulla reputazione che si conquista con il lavoro fatto bene.
La disputa riguarda anche motivazioni di tipo economico difficili da sbandierare apertamente. Dietro l'effigie dell'arte, si nasconde la pratica di non rilasciare ricevuta. Se la professione del maniscalco fosse inquadrata legalmente, ogni maniscalco avrebbe l'obbligo di partita iva in quanto maniscalco e di emettere ricevuta per le prestazioni.
A fronte di qualche migliaia di praticanti, oggi sì e no si contano in qualche centinaia i maniscalchi con partita iva in quanto tali. Altri hanno partita iva come allevatori di bestiame o agricoltori. Affine, ma non la stessa cosa.
Per agevolare l'emersione del professionista, che di mestiere fa solo il maniscalco, occorrerrebbe uno studio di settore per i minimi, in modo che non sia la paura del fisco a frenare un percorso dovuto di qualificazione professionale.
Se, infine, la mascalcia fosse annoverata tra le professioni sanitarie di base, gli operatori avrebbero anche l'obbligo di assicurarsi per danni a terzi. I clienti insoddisfatti potrebbero infatti citare il maniscalco podologo in civile per presunti danni. Sarebbe inoltre doveroso avere la possibilità di segnalare gli improvvisati per abuso di professione, azione che sarebbe possibile se la professione fosse ordinata da una legge.
Ancora oggi i maniscalchi sono persone che fanno un mestiere di strada, con annessi e connessi. E si sa, se affidi i piedi del tuo cavallo a un operatore non certificato, che non rilascia ricevute, difficile poi pretendere che la prestazione sia qualificata o fare segnalazioni per presunti danni o abuso di professione.
Invero, in un mondo come quello dei cavalli, dove la legalità è un problema e l'improvvisazione è tanta, sarebbe necessario mettere dei punti fermi anche alla figura del maniscalco, sia per la tutela del cavallo, sia per la tutela dei proprietari di cavalli che hanno bisogno di prestazioni di mascalcia.