Bonantonio da Clodia, il mezzosangue caduto in piazza Garibaldi a Castel del Piano (provincia di Grosseto) il 6 settembre, mentre disputava le batterie per la selezione dei cavalli destinati a correre il palio delle contrade, è stato abbattuto.
Si era fratturato il nodello, e la sua vita non valeva più nulla per i proprietari, o almeno non valeva più nulla come cavallo da corsa, e quindi non valeva la pena spendere soldi per curarlo, guarirlo e mantenerlo in vita come cavallo da compagnia o affetto.
Non è però colpa del tratto della pista in cui è caduto, ci tiene a precisare il sindaco Claudio Franci. Come sempre in queste circostanze, sarà colpa del fato o del cavallo. Si è mai visto l'organizzatore di un palio ammettere che ci siano delle responsabilità nelle morti bianche da palio?
I cavalli impiegati per i palii fanno una vita poco dignitosa, oltre che sempre a rischio di infortuni e mortalità sul "lavoro". Quest'ultimo inoltre è un impiego che non viene retribuito al cavallo, infatti non ha assicurazione per gli infortuni, né diritto alla pensione. Se si fa male viene ucciso, come Bonantonio, perché non ha più alcun valore come "prodotto" da corsa.
Bonantonio da Clodia era un grigio nato nel 2007. In carriera ha disputato almeno due dozzine di palii, con 7 vittorie tra cui il Palio di Ferrara 2012. Forse è stato quello il suo più grande "successo".
Certo, lui avrebbe preferito vincere una famiglia che lo amasse o lo riconoscesse come essere senziente, cavallo d'affetto, con diritto alla vita. Della vittoria al Palio non se ne è fatto nulla, se non l'obbligo a continuare quella vita da oppresso.
Come tutti i suoi simili, i cavalli da palio sono chiamati "prodotti", non esseri senzienti, e passano da una scuderia all'altra e da fantino a fantino, da palio a palio, senza mai conoscere l'affetto vero di una famiglia o di un mono cavaliere con cui fare sport.
Non solo. Spesso vivono chiusi in box striminziti, come i cani da caccia, per uscire e lanciarsi al galoppo sfrenato a richiesta del fantino di turno. Sottoposti a integratori e stimolatori per massimizzare le prestazioni e a soppressori di fatica e dolore, il loro unico compito è correre, ed è spesso l'unico momento in cui è loro permesso di uscire dal box di prigionia: l'allenamento a correre in cui rischiano di infortunarsi ed essere uccisi per guadagnarsi un altro giorno di vita.
A ben pensarci è un'assurdità già la loro gestione, assolutamente incompatibile con le caratteristiche di specie, se ai cavalli fossero riconosciuti dei diritti. In natura un cavallo si dà alla corsa pazza solo ed esclusivamente per sfuggire alla paura di morire. I cavalli da palio vivono in gabbie da cui escono solo per correre sotto la minaccia di frustini, perché così i fantini incitano i cavalli alla corsa del palio, picchiandoli.
Ed è correndo sotto frusta per avere un altro giorno di vita che lo schiavo Bonantonio ha trovato la morte a 11 anni.
Almeno ha finito di soffrire lo sfruttamento e l'anaffettività che caratterizzano l'entourage dell'ambiente palii. Dove si trova ora, almeno potrà uscire e passeggiare a piacimento, relazionandosi ai suoi simili senza bisogno di essere competitivo a suon di frusta.
Addio Bonantonio, ennesima vittima.