Colmare lacune e superare le incongruenze delle linee guida sulle IAA. Chiarire l'ambito sanitario, predisporre una formazione universitaria e protocolli standard di intervento. Sono iniziate in parlamento le audizioni informali sul riordino della pet therapy. In particolare sono due le risoluzioni in esame, ed entrambe affiderebbero in esclusiva ai veterinari le attività di pet terapia.
La risoluzione dell'On Doriana Sarli (M5S) si focalizza su alcune lacune da colmare nella gestione degli interventi assistiti con gli animali (IAA), i quali "fanno tutti parte della sanità pubblica veterinaria". La materia non è normata per legge, ma dalle linee guida del 2015, in seguito alle quali "la comunità scientifica ha fatto notevoli progressi" ma che oggi presentano "alcune incongruenze".
L'ambito di queste attività secondo la Sarli è "strettamente sanitario" e solo veterinari possono sostenere la mansione. La figura del conduttore dell'animale, se non rappresentata da un professionista della salute animale, non ha la formazione adatta e nemmeno la competenza per svolgere il compito che gli viene assegnato, continua la risoluzione. Senza contare un rischio zoonosico "non facilmente prevedibile". Le IAA richiedono quindi figure professionali responsabilizzate e che rispondano a un codice deontologico e "il medico veterinario è sottoposto a responsabilità civile in quanto esercente la professione sanitaria e a responsabilità disciplinare in quanto soggetto al codice deontologico"- fa notare la Sarli.
La formazione, secondo la risoluzione Sarli, per l'erogazione di terapie e di servizi "riferibili a prestazioni sanitarie di tipo specialistico" può essere solo universitaria.
Per ridurre il rischio epidemiologico, sarebbe necessario adottare dei protocolli sanitari specifici standardizzati. Per quanto attiene in particolare alla scelta dell'animale, ad esempio per il coniglio e altri pet non convenzionali "non sono ancora noti etogrammi definiti in tutto il loro corredo comportamentale e, quindi, non è conosciuto nemmeno il loro effettivo potenziale di rischio zoonosico".
Su toni simili la risoluzione dell'On Paolo Siani (PD) che sostiene che la pet therapy "rientra a pieno titolo in quelli che sono dei veri e propri percorsi di alta formazione e quindi erogati dall'università". Al contrario, a questo tipo di formazione post laurea, si sommano una serie di formazioni di tipo diverso disciplinate dalle singole regioni che hanno creato una sovrapposizione di ruoli nel mercato del lavoro generando, tra gli utenti, non poca confusione.
Secondo Siani, le linee guida non danno indicazioni sugli standard dei criteri di scelta delle specie e degli individui animali e delle tecniche di educazione, là dove la standardizzazione di questi criteri renderebbe più sicuri gli interventi, abbassando nel contempo lo stress dell'animale e la possibilità che si realizzino le condizioni per zoonosi sia infettive che comportamentali; inoltre, nelle linee guida non sono state indicate le modalità di gestione degli animali coinvolti soprattutto se gli interventi sono realizzati nelle strutture sanitarie verso le quali gli animali stessi possono rappresentare dei fattori di rischio epidemiologico come possibili vettori in entrata ed in uscita di importanti germi patogeni.
Secodo Siani, urge uniformare i comportamenti degli operatori, consentire la realizzazione di esperienze confrontabili dal punto di vista dell'efficacia terapeutica, rafforzando un approccio scientifico all'impiego degli IAA. La risoluzione, se approvata, prevederebbe una revisione delle linee guida nazionali affinché:
- le terapie con gli animali possano essere utilizzate per interventi abilitativi di carattere sanitario,
- la conduzione dell'animale sia effettuata esclusivamente da veterinari,
- la formazione sia solo universitaria,
- vi sia una distinzione esplicita tra le attività che non si inseriscono nel contesto degli IAA (escludendo dunque fattorie didattiche o attività nei maneggi/centri equestri che non rientrano negli interventi abilitativi di carattere sanitario),
- previsione di adeguate risorse finanziarie, volte ad inserire nei livelli essenziali di assistenza (Lea) alcune tipologie di terapie assistite con gli animali (Taa), già previste da alcune regioni.
Pet therapy esclusiva veterinaria, una specificità italiana
All'estero i veterinari non sono così interessati ad avere l'esclusiva sulle pet therapy. La ragione di questa particolare attenzione in Italia, potrebbe risiedere nel precariato della figura del veterinario nel nostro Paese.
Oggi in Italia ci sarebbero 33mila veterinari, contro i 18mila della Francia. Questo perché l’Italia ha 13 facoltà di veterinaria contro le 4 francesi. Un rapporto fra domanda e offerta “sbilanciato, che produce come prima conseguenza un esercito di liberi professionisti per necessità, almeno 20mila, precari, senza nessuna tutela né stabilità, con un reddito professionale medio che è fra i più bassi in Italia, sotto i 15mila euro all’anno”. A denunciarlo è il Sindacato Veterinari liberi professionisti (Sivelp).
Il mercato della medicina veterinaria italiana non riesce ad assorbire tutti i professionisti che annualmente escono dalle università, circa 1.100, e che si trasformano quindi sempre più spesso in precari sottopagati, oppure emigrano in altri Paesi affidandosi alla sorte.
In questa situazione, trovare uno sbocco per i veterinari laureati e precari, è chiaramente una missione nobile per il Ministero della Salute, che ha messo a punto le linee guida per la pet therapy nel 2015.
Dovessero queste risoluzioni passare, qualche veterinario in più troverebbe lavoro, sacrosanto, ma sarebbe una brutta notizia per tutti gli altri precari che hanno fatto i corsi per gli interventi assistiti con gli animali, spendendo fior di soldi, sperando di poter lavorare con gli animali.
Purtroppo anni e anni di corsi selvaggi in tutta Italia sulle pet therapy, hanno prodotto formazione inutile, se non a scopo personale (imparare l'arte e metterla da parle), poiché se non c'è lavoro come veterinari, ancora meno ce ne è come pet terapisti, a fronte di una moltitudine di corsi che sono stati attivati in Italia dall'istituzione delle linee guida del 2015. Corsi non gratuiti.
La "bolla" ha finito per produrre reddito solo per i formatori e rischia di diventare una sorta di truffa consumata su precari animalisti che hanno ottenuto, a pagamento, i vari diplomi.